La controffensiva ucraina è fallita e gli attacchi con i droni per colpire le infrastrutture di collegamento con la Crimea o che prendono di mira direttamente il territorio russo fanno dimenticare solo in parte questa verità. E se da una parte in Occidente si ipotizza una nuova controffensiva da parte ucraina in primavera, da progettare e preparare con cura nei mesi che ci separano dall’anno prossimo, dall’altra potrebbero essere proprio i russi a sfruttare il logoramento degli avversari con una nuova azione finalizzata a indirizzare verso la vittoria definitiva di Mosca la sorte di una guerra che in questo momento è in fase di stallo, con le due parti in causa che si fronteggiano senza ottenere grandi risultati in termini di acquisizione di territori.



Uno scenario possibile, anche perché l’Occidente non pare affatto disposto a prendere in considerazione l’eventualità di un intervento a fianco delle forze armate di Kiev. Solo Paesi baltici e Polonia sembrano pensare a un coinvolgimento diretto, con Varsavia che mira, in cambio del sostegno all’Ucraina, a esercitare un’influenza maggiore in territori che ora fanno riferimento a Kiev ma che prima erano polacchi.



In questo contesto l’unica via di uscita potrebbe essere una cristallizzazione della situazione sul modello delle due Coree, con un cessate il fuoco, spiega il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi come Libano, Somalia, Kosovo, Afghanistan, dove è stato capo di stato maggiore del comando Isaf, che favorirebbe i russi e le loro conquiste, ma che permetterebbe di prendere tempo. Mosca e Kiev resterebbero nemiche ma almeno non si sparerebbe più. Se la guerra continuerà, invece, non farà altro che alimentare la guerra.

Generale, controffensiva ucraina e attacchi con i droni in territorio russo. Cosa ci dice la situazione?



Che la controffensiva ucraina sia fallita ormai non è più un segreto. Se ne parla anche nelle nostre cancellerie. Si fa attenzione a non allarmare troppo le opinioni pubbliche perché devono contribuire con le loro sostanze al mantenimento di questa guerra, ma non c’è dubbio che non ha dato i risultati che ci si aspettava. In Occidente ormai si parla anche delle perdite ucraine, in termini di uomini e mezzi, che sono notevoli. Anche i russi ne hanno, ma ora sono in una posizione difensiva, protetti dalle loro fortificazioni. Certo, sul campo di battaglia può succedere di tutto, anche che gli ucraini progrediscano verso il Mare d’Azov. Ma lo ritengo improbabile. Gli attacchi con i droni si prestano a non far considerare questa situazione all’opinione pubblica. L’enfasi data a queste azioni è sempre grande, perché serve a dimostrare che gli ucraini continuano a combattere.

Ma sono attacchi che possono contribuire a cambiare il corso degli eventi?

Non servono solo a gettare fumo negli occhi dell’opinione pubblica, ma a cercare di innescare un’escalation, una reazione da parte russa che giustifichi, magari, un intervento più pesante da parte della Nato. L’aspetto più significativo, comunque, in questo momento, riguarda le manovre politiche intorno alla guerra. Quelle della Polonia, ad esempio, che sta curando con particolare attenzione la parte occidentale dell’Ucraina, area che apparteneva a Varsavia.

Secondo una dichiarazione del presidente polacco Duda questo potrebbe essere il momento giusto per fermare l’imperialismo russo. Cosa vuole davvero la Polonia?

La Polonia sta considerando i suoi interessi vitali e anche storici in un’ottica diversa da quella di qualche anno fa. Vede la possibilità di diventare il Paese di riferimento dell’Europa occidentale allargata: anche per gli Usa ha sostituito la Germania come punto di riferimento. Sta attraversando una fase di potenziamento militare importantissima ed è presente in Ucraina anche con parecchi volontari.

Europa e Usa speravano che l’Ucraina con la controffensiva costringesse la Russia a negoziare, ora invece si comincia a parlare di preparare gli ucraini per un’offensiva in primavera. Un progetto credibile?

Gli ucraini più di questa controffensiva non riescono a fare. Anche l’Occidente che li alimenta non riesce a tenere il passo con il ritmo delle distruzioni a cui stiamo assistendo. Quello che può succedere, invece, è che ci sia un’offensiva russa, visto che gli ucraini minacciano il territorio russo con i loro raid e i loro droni. Alcuni parlano di settembre, altri del prossimo febbraio: bisognerà vedere cosa succederà prima di allora.

A cosa si può puntare allora?

L’Occidente potrebbe puntare a un congelamento della situazione in vista di tempi migliori, magari tra qualche anno. Gli ucraini in questo momento non ce la fanno.

Nonostante i tentativi di Zelensky di coinvolgere direttamente la Nato nel conflitto l’Occidente non sembra proprio voler prendere in considerazione questa possibilità. Per questo si può pensare solo a un congelamento della situazione?

Ci sono Paesi europei che sono influenzati direttamente dalla situazione: le navi di grano dell’Ucraina non arrivano in Europa e lo stesso vale per il gas russo. Questo Occidente è molto restio a intervenire. C’è chi come la Polonia vorrebbe sfruttare a suo vantaggio la situazione per ritagliarsi un ruolo più importante, magari esercitando una maggiore influenza nella parte occidentale della stessa Ucraina, in cambio dell’aiuto che è stato dato a Kiev. Mentre gli Usa non sono interessati a proseguire una guerra che ora come ora non ha possibilità di sviluppi positivi, anche perché Biden deve affrontare le elezioni. In questa ottica potrebbe convenire una “coreizzazione” del conflitto, congelando la situazione e riprendendola tra qualche anno dopo aver ricostruito l’esercito ucraino. Non credo che però ai russi possa andare bene.

Ma come si potrebbe realizzare qui il “modello Corea”?

Per arrivarci bisogna fare ancora molti passi: a partire da un cessate il fuoco che non c’è. Ci si dovrebbe fermare sulle posizioni attuali e smettere di sparare. Non è una pace, un riconoscimento dei confini, ma un modo per rimandare la soluzione del problema.

I russi però così si terrebbero i territori che hanno conquistato: una soluzione che li favorirebbe?

Di sicuro non si ritirerebbero. Anche perché devono fare i conti con la loro opinione pubblica, in larghissima parte favorevole a questa guerra. Ci siamo infilati in un tunnel, tornare indietro è difficile: l’Occidente non vuole ammettere di avere puntato su un cavallo sbagliato. È difficile anche per Zelensky: l’Ucraina ha perso milioni di persone, si è depopolata. Molti residenti sono andati in Occidente, altri in Russia, per non parlare delle perdite al fronte. Anche Mosca, dopo aver dato dei nazisti agli ucraini, non può dire: “Abbiamo scherzato”.

La guerra sta semplicemente facendo il suo corso e questa logica non può portare alla pace?

Bisognava pensarci all’inizio, aprire un tavolo negoziale. La guerra si autoalimenta, con i rancori, con le perdite umane, con le conseguenze per le popolazioni, con la retorica bellicista, da una parte e dall’altra. Tornare indietro se si è detto che i russi sono orchi è impossibile. Anche in Occidente si è arrivati a una contrapposizione virulenta, arrivando a sconfessare l’appartenenza all’Europa della Russia. Con un crescendo del genere tornare sui propri passi è difficilissimo. Ucraini e russi hanno pagato in solido quello che sta succedendo: se non c’è da parte di chi non è stato intaccato direttamente dalla guerra uno sforzo per portarli ad abbassare i toni, ecco si arriva al punto in cui siamo arrivati. Bisognava capire che la guerra non si può fermare se non portando i belligeranti a un tavolo negoziale.

In questo l’Europa ha fallito su tutta la linea?

Sì, in questo ha fallito questa Unione Europea velleitaria, priva di senso della storia e della consapevolezza del suo ruolo. Il suo scopo principale doveva essere di evitare che il suo territorio fosse interessato da conflitti come nella Seconda guerra mondiale. Non lo ha fatto.

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