Lo storico francese Marc Bloch, che partecipò alla Prima guerra mondiale, nel suo La guerra e le false notizie descrisse il modo in cui l’inconscio collettivo, sollecitato dagli eventi traumatici di un conflitto, riesce a trasformare le notizie partorite dalla propaganda in una realtà distorta alimentata da una percezione alterata dei fatti. In definitiva, per Bloch, la guerra più di altri eventi ha la capacità di compromettere la comprensione della fattualità dei processi storici. La guerra in Ucraina non è un’eccezione di questa particolare legge storica, e a suo modo ne rappresenta una interessante declinazione.



Durante la guerra in atto l’infosfera ha prodotto una quantità colossale di informazioni che, a differenza di quanto successo durante la pandemia, è stata raccolta ed elaborata da tantissimi analisti e ricercatori i quali, con maggiore o minore approssimazione, hanno saputo descrivere in tempo reale e in modo dettagliato quanto stava succedendo sul campo di battaglia. Come mai accaduto in precedenza abbiamo la possibilità di avvicinarci a qualcosa che è molto simile alla verità dei fatti. La rete pullula di storici e analisti in grado di studiare le fonti aperte e produrre analisi di indubbio valore, una forma di intelligence collettiva che rappresenta una novità significativa. Gli storici del futuro probabilmente studieranno nei dettagli questo nuovo concetto di fonte.



Ma a ben vedere anche in questo caso la guerra sfugge a qualsiasi comprensione e si conferma qualcosa di ontologicamente, verrebbe da dire, incomprensibile e indescrivibile. Dopo più di anno sono tantissime le domande che non hanno una risposta. Sul piano militare il ritorno del combattimento in trincea in stile Verdun ha sicuramente spiazzato gli osservatori, e al contempo l’uso sistematico dei droni è una novità che aspetta di essere compiutamente descritta. Sui campi di battaglia ucraini si sta scrivendo la dottrina delle guerre del futuro, una laboratorio nel quale si sperimentano nuove tattiche e armi.



Trovare certezze in un contesto così dinamico è un impresa assai ardua, forse per questo bisognerebbe porsi delle domande. Basti pensare al fatto che tuttora non abbiamo una spiegazione fondata del perché Putin abbia deciso di invadere l’Ucraina. Da parte nostra, dal primo giorno di guerra abbiamo provato a mettere la guerra in atto in relazione con la revisione dell’ordine geopolitico e geo-economico globale, ma a questo tipo di spiegazione sistemica sfuggono necessariamente tanti piccoli eventi e contingenze di varia natura la cui dinamica può produrre esiti imprevedibili.

Dal punto di vista strettamente materiale nessuno ha la contezza di questioni che nel prossimo futuro possono avere un valore decisivo. Ad esempio, possiamo dire con certezza che la Nato ha la piena superiorità tecnologica? L’utilizzo da parte dei russi di droni iraniani Shahed ha mostrato che è possibile utilizzare tecnologie a basso costo che possono creare serissimi danni al nemico. Un caso emblematico di una situazione in cui nessuno può dire quale sarà la tecnologia che farà la differenza sui campi di battaglia del futuro.

Un’altra questione decisiva è che nessuno è in grado di quantificare la reale portata delle riserve russe. Anche se è facile trovare stime, al momento non c’è alcuna certezza circa il numero dei carri prodotti ogni mese. Sul versante ucraino risulta altrettanto difficile capire la portata della prossima controffensiva di Kyiv, né tantomeno il reale numero degli assetti forniti dagli occidentali e della loro efficacia.

Altre questioni dirimenti sulle quali si procede a tentoni riguardano la stima delle perdite su entrambi i fronti e il ruolo dell’aviazione, fondamentale per alcuni, ininfluente per altri.

Sul piano della gestione strategica della guerra le domande sono anche più importanti. Ci sarebbe da chiedersi perché, dopo la travolgente controffensiva di novembre che ha portato l’esercito ucraino a riconquistare Kherson, Zelensky non abbia sfruttato il clausewitziano momento culminante della vittoria per sedersi al tavolo della pace da una posizione di forza. Altrettanto difficile da interpretare è la reale volontà di riconquistare la Crimea e il Donbass, questione decisiva sulla quale si gioca il “senso” di tutta la guerra.

A fronte della legittime rivendicazioni del popolo ucraino, l’Occidente ha dato il supporto a una nazione che lotta per la sua libertà, senza, però, porsi domande decisive sul futuro del suo impegno. Basti pensare che superficialmente è stata rimossa la questione che riguarda la reale possibilità di contrastare un Paese con le risorse della Russia che ha avviato una mobilitazione di massa. Abbiamo deciso di supportare l’Ucraina senza accogliere pienamente la logica dell’economia di guerra, alimentando l’illusone che bastava spendere al fronte le nostre esigue riserve senza porci il problema di cosa sarebbe successo una volta che esse fossero finite. La Russia, dopo la batosta ricevuta dall’eroica resistenza ucraina, ha rimodulato le proprie tattiche e ha pienamente adeguato il proprio sistema economico alle necessità della guerra, riconfigurando la produzione domestica al fine di produrre mezzi e armi. Nel complesso l’Occidente ha sottostimato le capacità russe e non ha valutato la capacità di Mosca di rifornirsi di merci e tecnologie eludendo le sanzioni attraverso triangolazioni con Paesi non ostili come l’India e la Turchia.

Ma soprattutto, l’Occidente non è ancora in grado di valutare l’impatto e la qualità effettiva della fornitura di tecnologia cinese, una questione che può cambiare il destino della guerra. In tempi di guerra avere delle certezze è un lusso che non ci si può permettere, sono troppe le variabili con cui fare i conti e sono imprevedibili le  conseguenze di una decisione. Studiare la storia è utile per provare a intuire cosa ci aspetta, ma talvolta dobbiamo fare i conti con eventi che segnano una profonda discontinuità e che tracciano un solco profondo con il passato. La guerra in Ucraina è uno di questi casi e per questo motivo conviene iniziare a porsi delle domande e pensare al mondo che verrà dopo il conflitto in atto.

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