Nell’ultimo giorno del G7, Putin spiega a quali condizioni sarebbe disposto alla pace, ossia il mantenimento dei territori conquistati e la neutralità dell’Ucraina. “Di Putin non ci si può fidare”, ha risposto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Giovedì il G7 ha detto sì allo stanziamento di 50 miliardi di dollari come prestito USA che sarà rimborsato con i profitti degli asset russi congelati.



La situazione potrebbe sbloccarsi, spiega Maurizio Boni, generale di corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, se cambiassero le leadership occidentali. Un’eventualità non così lontana visto che USA, GB e Francia vanno a elezioni. Intanto la NATO, lo ha detto il suo segretario generale Jens Stoltenberg, teme che un nuovo corso in Francia possa portare Parigi ad essere meno fedele al Patto Atlantico: è già successo con de Gaulle.



Putin stavolta non solo apre alla pace ma dice su cosa si potrebbe trovare un’intesa. Cosa significa questa “offerta”?

È una proposta concreta. Gli USA continuano ad affermare che Putin non vuole la pace e lui spiega quali sono le condizioni per risolvere il conflitto una volta per tutte, ribadendo che vuole garanzie che l’Ucraina non entri a far parte della NATO. Dall’altra parte, invece, al G7, c’è un accordo bilaterale decennale sulla sicurezza, firmato da Biden e Zelensky, che va nel senso opposto.

Ma l’Ucraina può sperare di entrare nella NATO?

L’amministrazione Biden da aprile continua a ribadire che nel prossimo summit di Washington non verrà presa in considerazione l’adesione dell’Ucraina. Zelensky l’anno scorso a Vilnius si aspettava l’avvio delle procedure per essere ammesso alla membership, stavolta lo avvisano prima che non sarà così. A maggio c’è stato un ulteriore pronunciamento del Dipartimento di Stato: finché ci sarà la guerra Kiev non entrerà nell’Alleanza. Putin, intanto, chiede che l’Ucraina rimanga neutrale: lo sapevamo dall’inizio, l’obiettivo russo è di non avere un Paese ostile ai propri confini. Non si capisce perché da parte dell’Occidente non ci sia un progetto di visione futura per risolvere questo problema: prima o poi bisognerà farlo e gli accordi bilaterali dei singoli Paesi con l’Ucraina non servono a questo.



La Conferenza di pace che inizia in Svizzera in questi giorni servirà a qualcosa?

Io sono molto scettico anche sull’esito del G7. Comunque, non ci può essere una Conferenza di pace senza l’avversario: non porterà a nulla.

Al G7 hanno deciso di usare gli interessi relativi agli asset russi all’estero per un piano da 50 miliardi di dollari per l’Ucraina. Servirebbero solo per trascinare la guerra per qualche tempo?

L’apertura di credito non può essere illimitata. Quella decisa dal G7 è una misura per la quale l’Europa si assume i rischi sul pagamento degli interessi, però i soldi li impiega Washington attraverso il fondo USA-Ucraina, dove l’Europa stessa non ha voce in capitolo. Un meccanismo contorto, che serve a fornire un altro credito considerevole all’Ucraina. I temi scottanti e dirimenti, che riguardano anche la politica militare, non vengono affatto trattati. In ogni caso tutti i giorni, al fronte, i russi continuano ad avanzare. Kiev ha inviato un’aliquota considerevole delle proprie riserve a Kharkiv e quando un esercito comincia a usarle non è un buon segnale, è una conferma dei problemi degli ucraini. C’è questo strabismo di fondo per cui non si vuole prendere atto che una soluzione bisogna trovarla nell’interesse di tutti, soprattutto di noi europei. È tutto un prolungare questa agonia senza avere il coraggio politico di risolvere la situazione.

Contemporaneamente al G7 c’è stato anche un incontro NATO dei ministri della Difesa nel quale Stoltenberg ha posto qualche dubbio sulla Francia. L’Alleanza rischia di perdere uno dei suoi Paesi più importanti?

Stoltenberg ha detto che la NATO si aspetta che la Francia rimanga un alleato chiave anche in futuro. Si ricorda di quando nel 1966 la Francia abbandonò la struttura militare integrata della NATO. Lo decise de Gaulle per salvaguardare la sovranità nazionale: pensava che la presenza della Francia in questa struttura limitasse la sua autonomia decisionale. Poi c’era il problema del predominio degli USA: Parigi percepiva la struttura della NATO come troppo influenzata dagli interessi americani. Terzo elemento: c’erano dei disaccordi specifici sull’impiego del nucleare e la strategia di difesa comune.

Una situazione che può ripetersi?

Oggi questi tre elementi sono ancora attuali. Con l’esito quasi scontato delle elezioni di fine mese in Francia potremmo tornare a una concezione nazionalista della difesa. Se Stoltenberg è uscito con questa dichiarazione non lo ha fatto a caso. La Francia uscita nel 1966 è tornata nel 2009, 43 anni dopo, un periodo in cui ha aderito alla NATO in maniera più soft.

La NATO e Zelensky comunque stanno ancora parlando di F-16 da fornire a Kiev, mentre anche gli F-35 ora nei Paesi Bassi da fine giugno sarebbero pronti addirittura per missioni nucleari. Cosa pensa in proposito?

La questione degli F-16 si trascina da mesi, ma sanno tutti che non sono risolutivi. Per qualunque sistema d’arma ci vuole tempo per addestrare un soldato. E più elevato è il livello di tecnologia da gestire più tempo ci vuole. Ma al fronte non cambia nulla: la situazione a terra resta la stessa.

Stoltenberg ha anche messo sul piatto la proposta di mettere a disposizione 40 miliardi all’anno per l’Ucraina. Quale sarebbe, però, l’obiettivo?

Noi europei non ce la faremo mai. Non è proponibile, anche perché ci sono problemi di distrazione di queste risorse quando giungono in Ucraina. Non possiamo reggere finanziariamente e abbiamo difficoltà anche nella produzione degli armamenti. Questo è un conflitto ad altissima intensità, per questo bisognerebbe capire cosa occorre evitare come scenario, proprio perché non abbiamo le risorse per sostenerlo. I discorsi dell’Alleanza sono da iscrivere nella comunicazione strategica della NATO, che deve mantenere elevata l’attenzione dell’opinione pubblica e la pressione sull’altro fronte. Ma lo fa solo perché ci sono evidenti difficoltà.

L’Occidente dopo novembre, a elezioni presidenziali USA finite, si deciderà a mettersi al tavolo per trattare con i russi?

Sarebbe auspicabile una nuova leadership, negli USA come in Europa. Quella che abbiamo adesso non ha intenzione di prendere atto che oramai c’è poco o nulla da fare. Piuttosto che ammettere di avere sbagliato si procede a oltranza. Nel G7 l’asse franco-tedesco è stato distrutto dalle elezioni, il premier britannico è in uscita, i rimanenti leader, tranne quello italiano, hanno livelli di consenso equivalenti. Alla fine, questo conta. Se si rinnova la leadership politica è auspicabile che qualcosa possa cambiare.

(Paolo Rossetti)

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