Comprendere il significato storico-generale della guerra di aggressione russa nei confronti dell’Ucraina diviene un problema sempre più complesso. Si tratta anche di un gioco di specchi, certamente, ma il disegno che muove la Russia all’aggressione è la necessità per essa di costruire un ordine internazionale alternativo a quello delineatosi non dopo la Seconda guerra mondiale, ma addirittura, questa è la mia opinione, dopo la Prima guerra mondiale.



All’epoca il presidente Usa, Thomas Woodrow Wilson, con il suo “principio di nazionalità”, mirava, in unione con la Francia e l’Inghilterra, a eliminare per sempre il principio ordinatore fondamentale europeo rappresentato dall’Impero asburgico. Così facendo si sconvolse un secolare equilibrio. Il prezzo fu l’umiliazione tedesca e lo spaesamento che scatenò il demone nazista vent’anni dopo.



Dopo la Seconda guerra mondiale, frutto appunto della terribile illusione wilsoniana, di nuovo si impose, grazie alla vittoria delle armi (e come poteva essere diverso?), il domino Usa sul mondo, temperato dal sorgere del comunismo statualizzatosi nell’Urss vittoriosa e poi dalla Cina “sorgente”. Il crescere della potenza sovietica su scala mondiale e poi di quella cinese segnavano il fallimento di un ordinamento internazionale che si credeva potesse fondarsi sul dominio anziché sull’egemonia. Significativo di tutto ciò fu la composizione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che temperava il dominio economico capitalistico creatosi a Bretton Woods e che durerà sino all’inizio degli anni Settanta del Novecento, quando il dollaro non fu più moneta di riferimento.



Il dominio americano del mondo ha rotto drammaticamente con il secolare modello che aveva, sino alla Prima guerra mondiale e all’emersione degli Usa a leader dell’Occidente, governato il Vecchio continente e quindi il mondo intero. Gli Usa accrebbero via via la loro potenza come statualità a geometria variabile (con le istituzioni che crearono nel secondo dopoguerra, dal Fondo monetario internazionale alla Banca Mondiale, ecc.). Si instaurò un meccanismo revisionista di quell’ordine, perché si dominò e si domina sempre con le armi, piuttosto che con la diplomazia. Il prolungamento di potenza è diretto a raggiungere il dominio di potenza, piuttosto che a ricercare l’ equilibrio di potenza (Kissinger docet, con la sua docenza che durò, però, soltanto l’espace d’un matin).

Tutto diverso era il sistema europeo degli Stati, che, seguendo ciò che scrisse Karl Polanyi, garantì un secolo di pace all’Europa. La vita di questo sistema meraviglioso, affermatosi sulle ceneri del sistema italiano degli Stati dopo che l’avanzata turca e la scoperta dell’America avevano dislocato il baricentro politico dal Mediterraneo all’Atlantico, non era regolata dal caso. La prima e fondamentale legge era quella dell’equilibrio e dell’egemonia. “Gli Stati liberi, sovrani e concorrenti del sistema europeo”, osservava Ludwig Dehio, “sono sempre stati concordi in un solo punto: quello di evitare l’unificazione dell’Occidente sotto l’egemonia di uno di loro e di perdere così la propria sovranità. Fosse la Spagna, la Francia, la Germania, vale a dire di volta in volta il più forte Stato del Continente che cercò di conquistare un’egemonia stabile, esso si trovò di fronte potenti coalizioni che in guerre generali annullarono i suoi tentativi. Quale fu la ragione profonda per la quale per quattro secoli, immancabilmente, queste coalizioni riportarono la vittoria? Il segreto sta nel fatto che le grandi coalizioni trovarono un invincibile appoggio nelle potenze marginali all’Europa, a ovest e a est: in primo luogo nelle potenze marittime dell’Occidente e in secondo luogo nelle grandi potenze periferiche dell’Oriente che misero a disposizione nella lotta contro la potenza egemonica le forze crescenti dei territori esterni al sistema europeo; nel primo caso le forze dei territori d’oltremare, nel secondo caso quelle del continente eurasiatico. Questo è il grande segreto della storia moderna degli Stati: che dalla periferia dell’Europa e dal mondo extraeuropeo nuove forze potevano continuamente essere buttate sul piatto della bilancia delle grandi coalizioni fino a che il tracollo critico non veniva superato e l’equilibrio oscillante di nuovo ristabilito”.

Ma quell’“appoggio” extraeuropeo di cui parlava forse il più grande interprete della storia mondiale del Novecento è proprio quello che oggi manca alla coalizione che si sostiene con le statualità variabili della Nato e dell’Ue. Le posizioni assunte all’Onu dalle potenze “intermedie”, potenti come la Cina e l’India e strategiche per il peso energetico, come l’Arabia Saudita e tutte le monarchie del Golfo, oppure di “relazione”, come Israele e la Turchia, stanno a dimostrarlo.

Del resto è stata proprio la “logica del dominio”, che ha avuto una sua esplosione dopo il 2001 per l’attacco alle Torri Gemelle del terrorismo islamico-saudita e la “guerra al terrore” con la guerra in Iraq e l’uccisione di Gheddafi nel 2011 che ne seguì, a portare agli onori degli altari di nuovo la logica del dominio anziché dell’egemonia, a cui segue, ma solo se vittoriosa, quella dell’equilibrio.

Il dramma della guerra di aggressione russa all’Ucraina è tutta qui: un dramma non risolvibile se non trasformando il conflitto da militare in competizione economica, come di fatto sta accadendo, ponendo il dominio del dollaro in discussione e indebolendo via via le ideologie di autosufficienza energetica sia Usa, sia Ue.

Insomma, un dramma che vedrà tacere le armi, ma che inaugurerà una guerra economica di lunga durata di cui sarà difficile prevedere l’esito, se non si ritorna a una volontà comune di perseguire l’equilibrio anziché il dominio.

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