La guerra in Ucraina cominciata nel febbraio 2022 sembra non finire mai. Diverse sono le opinioni in proposito, sia in merito alla possibile conclusione, sia in relazione alla tenuta dell’Ucraina dipendente dagli aiuti esteri, gli Usa per primi, poi la Nato e la Ue, e sia in relazione alla tenuta della Russia, per la disponibilità di armi ed uomini, ed ai possibili effetti interni di reazione alla politica della guerra.



La possibile durata della guerra dipende da quanto e per quanto tempo i Paesi sostenitori saranno in grado di sostenere lo sforzo bellico dell’Ucraina contro la Russia. Fondamentale è la tenuta economica e finanziaria di questi Paesi, ma anche la tenuta della Russia; è a suo modo una guerra di logoramento che dipende da numerosi fattori esterni che non possono durare a lungo.



Tra questi, in primis, è la tenuta contabile degli Usa, che fino ad ora sono stati i principali sostenitori dell’Ucraina, sia in termini di forniture belliche  che in elementi di sostegno alla popolazione. L’impegno americano nel corso dell’attuale anno finanziario che si conclude il 30 settembre di quest’anno ammonta ad oltre 100 mld di dollari, mentre quello dell’Europa ammonta a 35 mld di euro. Fino a quando il sostegno economico può consentire all’Ucraina e all’Europa di garantire un sostegno nel medio e lungo tempo?

Qui entrano in gioco i problemi che possono contribuire a chiudere il conflitto prima che si estenda oltre le possibilità di sostegno fatte dai Paesi occidentali.



Quello che si sta vedendo ora, per quello che possiamo leggere, è una situazione di stallo in cui i due contendenti sembra aspettino la primavera per promuovere ciascuno un’offensiva; mentre da parte dei Paesi che sostengono l’Ucraina si nota uno sforzo particolare per promuovere l’invio di armi – aerei, carri armati, artiglieria, missili, perfino l’ipotesi di proiettili ad uranio impoverito – necessarie a sostenerla in un prossimo sforzo a breve. Le dichiarazioni di Blinken sono improntate ad un cauto ottimismo, ma lasciano capire che obiettivi come la Crimea non siano realizzabili; la visita del presidente cinese Xi Jinping in Russia ha fatto sperare in un possibile colloquio per la pace, ma nulla più.

Il primo problema riguarda la misura in cui gli Stati che sostengono l’Ucraina sono in grado di sostenere lo sforzo finanziario compatibile con le loro economie. Gli Stati Uniti cominciano a traballare sui loro fondamentali economici e finanziari, con una posizione di debito di 31.400 mld di dollari, con un maggiore debito di 1400 mld di dollari rispetto al massimo consentito dal Congresso e solo grazie ad operazioni finanziarie di copertura possono evitare il default.

L’anno fiscale finisce il 30 settembre ed entro quella data dovrà essere risolto il deficit di bilancio, e il prossimo budget sarà condizionato dalla posizione dei repubblicani che, seppure relativa, hanno la maggioranza al Congresso. I repubblicani hanno fatto sapere di non essere disponibili per un assegno in bianco all’Ucraina e l’eventuale assenso sarà sicuramente condizionato dal taglio alla spesa.

Il debito degli Usa tende a crescere, sia naturalmente per le spese in essere, sia per gli interessi passivi che sono stati generati dall’inflazione che oggi è al 6,4%, con un aumento degli interessi del 29%; il debito già lo scorso anno era quello di oggi così come l’inflazione. Le posizioni di dissesto finanziario del sistema incidono sull’eventuale liquidità da erogare da parte della Fed, così come le aziende che stanno andando fuori mercato alimenteranno la disoccupazione; in altri termini, le prospettive interne non sono di una crescita importante compensativa di un eventuale aumento del debito. La stessa cosa successe all’amministrazione Obama nel 2011, quando il debito superò il limite approvato dal Congresso, e fino a quando non si ricompose lo scontro i dipendenti ed i servizi federali non vennero pagati e si rimase a rischio di default.

Sulla posizione degli Usa pesa anche la maggiore debolezza del dollaro come moneta sovrana: i recenti accordi tra Iran ed Arabia Saudita e tra questa e la Siria si muovono verso una de-dollarizzazione, così come gli accordi Cina-Russia; questo processo potrebbe indebolire la tenuta del dollaro e conseguentemente rendere meno appetibili i Treasury Bond Usa; nel qual caso la Fed si troverebbe costretta eventualmente a ricomperare la quota di buoni del tesoro non collocati sul mercato. Da notare che il Pil dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) si sta avvicinando al Pil del G7 e tendenzialmente potrebbe superarlo viste le diverse prospettive di crescita dei due blocchi. Gli altri Paesi europei sono in una situazione di tensione, la Francia con la riforma delle pensioni, la Germania con il conflitto dei verdi, mentre noi abbiamo i nostri problemi ed il nostro debito.

In altri termini dobbiamo domandarci cosa succederà se il nuovo bilancio degli Usa al 30 settembre diminuirà le risorse per l’Ucraina che non potranno essere sostituite dagli Stati europei. Si possono presentare due variabili. Secondo la prima, la fornitura di risorse materiali e monetarie porterà, in tempi significativamente brevi e comunque prima del 30 settembre, a una riduzione della pressione della Russia e in prospettiva del suo sforzo bellico. Nella seconda ipotesi una diminuzione di aiuti può favorire un’avanzata della Russia ed un aumento di pretese da parte di Mosca; in questo caso le vittime saremmo noi europei che finiremmo per trovarci tra l’incudine ed il martello.

La soluzione ai nostri drammi può essere data da una pace negoziata avviata il prima possibile, magari ricorrendo anche all’aiuto della Cina, ammesso che ci sia lo spazio negoziale.

La guerra sta pericolosamente andando fuori controllo ed ora tutti gli sforzi devono essere fatti per trovare una soluzione di pace negoziata anche per le prospettive future, invece di perderci in propaganda e pochi fatti.

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