“I russi vogliono incassare il prezzo della loro ritirata da Kiev: o lo incassano sotto il profilo diplomatico, in termini di negoziato, o lo incasseranno in termini militari. E questa volta potrebbero non limitare la potenza di fuoco che hanno a disposizione. In tal caso temo che andremo incontro a una battaglia campale. Sarà una carneficina”. In un momento grave e delicato del conflitto in Ucraina è questo lo scenario che prefigura Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, secondo il quale, però, prima di arrivare a “scannarsi nelle trincee, i russi punteranno a circondare l’esercito ucraino nel Donbass per indurlo ad arrendersi”. E anche “Usa e Nato dovrebbero cercare soluzioni per una possibile trattativa ad alto livello. Credo infatti che Putin abbia voluto e voglia negoziare non con Zelensky, ma con Biden. L’Ucraina post-2014 è una creazione degli Stati Uniti ed è sostenuta dai suoi alleati europei, che sono la Polonia e i Paesi baltici. Usa e Nato non possono chiudere le porte a un dialogo per trovare un compromesso”.



Intanto Londra e Washington concordano: Putin ha rinunciato a conquistare Kiev e il nord dell’Ucraina. È d’accordo?

Non sono affatto convinto che Putin volesse prendere Kiev né che abbia modificato la sua strategia. Credo che, almeno nella comunicazione ufficiale, Usa, Nato e Ucraina abbiano sempre cercato di dare all’opinione pubblica la loro visione dell’operazione militare, parlando di blitzkrieg fallito, di guerra lampo non riuscita.



Invece?

Non credo che i russi volessero condurre una guerra lampo, perché, se avessero voluto farla, avrebbero devastato i loro obiettivi, a partire dalle cittadine in cui, transitando, hanno invece subìto delle perdite: la potenza di fuoco dell’esercito russo è stata utilizzata in minima parte.

Quali erano i loro obiettivi militari? E sono validi ancora oggi?

I russi hanno due obiettivi, quelli annunciati all’inizio della guerra dallo stesso Putin. Il primo è liberare, come dicono loro, od occupare, come dicono gli ucraini, tutto il territorio amministrativo delle due province di Lugansk e Donetsk, che Mosca riconosce come repubbliche autonome.



Ci stanno riuscendo?

Lugansk l’hanno presa quasi tutta, di Donetsk manca circa la metà, perché lì è schierato il meglio dell’esercito di Kiev, circa 90mila soldati che, secondo Mosca, erano pronti a lanciare un’offensiva contro il Donbass ai primi di marzo.

E il secondo obiettivo di Putin?

È Mariupol, l’unica città in cui i russi sono entrati e combattono casa per casa. Avendo ormai ricongiunto il Donbass con la Crimea, la conquista di Mariupol, che tra l’altro libererebbe altre due brigate russe utilizzabili più a nord-est, avrebbe anche un valore simbolico: lì è presente il battaglione Azov e la sua resa o distruzione rientrerebbe nell’obiettivo indicato da Putin di voler denazificare l’Ucraina.

Come si spiegano gli attacchi contro Kiev e Odessa?

Erano obiettivi politici. Putin ha voluto far credere che volesse attaccare queste due città. Se osserviamo la mappa sul terreno ci accorgiamo che la presenza delle truppe russe ha la forma di una mezza luna, con Kiev e Odessa alle due estremità.

Quindi a cosa servivano queste puntate offensive?

A logorare l’esercito ucraino, a far sì che tenesse i soldati a difesa della capitale e a difesa di Odessa, al fine di scongiurare un eventuale sbarco russo sulla costa. In questo modo Mosca ha inchiodato in quelle due aree diverse truppe ucraine.

Perché allora ritirarsi da Kiev?

La ritirata russa da Kiev, non causata da sconfitte, guarda caso coincide con le trattative in Turchia.

Che legame c’è?

Ankara si è lasciata scappare, con un certo ottimismo, che c’è un documento su cui si può iniziare a discutere e nel quale i russi dicono di accettare un alleggerimento della pressione su Kiev. Infatti, già a fine marzo, Mosca ha lasciato progressivamente l’area circostante la capitale. Questo mi fa pensare che ci fosse una sorta di intesa: noi russi ci ritiriamo da Kiev, in cambio però di qualcosa. Quella ritirata avrebbe cioè dovuto coincidere con una qualche iniziativa ucraina nel Donbass. Ma le atrocità di Bucha hanno fermato queste trattative e quindi non abbiamo visto il seguito.

Adesso i russi stanno concentrando il grosso di truppe e armamenti proprio nel Donbass. Quanto tempo ci vorrà prima che Mosca possa scatenare un nuovo attacco? C’è chi dice almeno una settimana: è così?

È probabile. In questo frangente lo sforzo russo tenderà a completare l’accerchiamento dell’esercito ucraino e a rendere impossibile i rifornimenti alle truppe di Kiev. Finora i russi hanno sempre combattuto in inferiorità numerica e stando attenti a non causare perdite eccessive. Ora penso che cercheranno una trattativa che consenta agli ucraini di ritirarsi senza dover combattere. Se non dovesse funzionare, prima di arrivare a scannarsi nelle trincee, i russi punteranno a circondare l’esercito ucraino nel Donbass per indurlo ad arrendersi. Una battaglia già perduta non merita il sacrificio di tante vite umane.

E cosa potrebbe succedere nel Donbass?

Ci sono due possibilità: che i russi concentrino le loro forze e lancino un assalto metro per metro, per strappare agli ucraini le posizioni che da otto anni presidiano e dove sono ben fortificati. Sarebbe una carneficina. I russi si stanno preparando distruggendo i depositi di armi, quelle che arrivano dall’Occidente, e i depositi di carburante e cercheranno anche di bloccare le vie di rifornimento dall’Ucraina occidentale verso il Donbass, andando a colpire i ponti sul Dniepr. Ripeto, sarebbe una carneficina.

E la seconda possibilità?

L’alternativa migliore sarebbe, appunto, cercare un accordo in cui alle truppe ucraine viene concessa la possibilità di ritirarsi dal Donbass, risparmiando molte vite umane, anche di civili, così che i russi conseguano il controllo del Donbass.

A quel punto?

Una trattativa, un accordo sarebbe di fatto già raggiungibile. Così si risparmierebbe un prolungamento della guerra, che per l’Europa non è più tollerabile: non possiamo permetterci altri due mesi di conflitto, le nostre economie, soprattutto quelle tedesca e italiana, non reggerebbero.

Secondo il vicesegretario della Nato, Mircea Geoana, nelle prossime settimane nel sud-est dell’Ucraina ci “sarà un altro tipo di guerra, più convenzionale e su scala più vasta”. Che cosa significano le sue parole?

Quello che dicevo poc’anzi: guerra convenzionale significa che si fronteggiano due eserciti, con in campo almeno 200-250mila soldati e un amplissimo impiego di artiglieria e mezzi corazzati. Sarebbe una battaglia campale come non si vedono in Europa dalla fine del 1944, dalle ultime fasi della Seconda guerra mondiale.

Il consigliere del presidente ucraino Mykhailo Podolyak ha detto alla Cnn che un incontro Zelensky-Putin potrà esserci solo dopo la battaglia nel Donbass, “che Kiev vuole vincere. L’Ucraina è pronta per grandi battaglie”. Come è messo l’esercito di Zelensky dopo un mese e mezzo di guerra?

È messo male, sia come difesa aerea che come mezzi corazzati terrestri. Infatti continua a supplicare gli alleati perché inviino armi di ogni tipo. Anche perché i russi hanno devastato il loro apparato produttivo bellico, che non era certo di second’ordine.

L’Ucraina chiede “armi, armi, armi” e l’Occidente risponde aumentando gli aiuti finanziari e militari. Anzi, la Repubblica Ceca ha deciso di inviare anche mezzi corazzati. C’è un salto di qualità nella fornitura di armamenti all’esercito di Kiev?

Più che un salto di qualità c’è un aumento della visibilità di questi aiuti militari. Per intenderci, l’invio, che è stato davvero massiccio, di lanciamissili anti-carro e anti-aerei poteva avvenire semplicemente nascondendoli nel bagagliaio di una macchina o di un fugone, senza dare troppo nell’occhio. Ma i convogli ferroviari per il trasporto di carri armati sono più eclatanti. Stanno a significare che la Nato è meno timida. Ma non penso che saranno decisivi per cambiare le sorti della guerra.

L’effetto sorpresa non ci sarà, perché tutti si aspettano l’attacco massiccio al Donbass: cosa faranno o dovrebbero fare Usa e Nato?

La Nato è spaccata: conta una trentina di paesi, ma è nelle mani dei due suoi principali azionisti, Usa e Gran Bretagna, che hanno tutto l’interesse a prolungare questa guerra. Se in tal modo vogliono logorare i russi e impoverire l’Europa, tanto il prezzo lo pagheranno gli ucraini, la Ue dovrebbe almeno contrastare questo disegno anglo-americano. Le conseguenze di questo conflitto non si vedranno nel Wisconsin o nel Delaware, ma già si vedono in Italia, in Germania…

Si va verso uno scenario post-bellico di tipo coreano, con l’Ucraina divisa in due sulla linea del Dnepr? È questo l’obiettivo di Putin per sedersi al tavolo dei negoziati?

Non credo sia questo l’obiettivo di Putin. I russi vogliono sostanziale autonomia per il Donbass, il che non significa necessariamente che queste province debbano essere annesse da Mosca, e vogliono che Kiev non entri nella Nato né sia una potenza dotata di armi strategiche. Non vogliono conquistare l’Ucraina fino ai confini con la Polonia o con la Romania. Se i russi dovessero arrivare fino lì o anche solo alla sponda orientale del Dniepr, avremmo di nuovo la Cortina di ferro. Ma Putin non vuole questo contatto diretto, vuole un paese cuscinetto, un’altra Finlandia. Qualsiasi ipotesi di spartizione dell’Ucraina che vedesse i carri armati americani arrivare fino alla sponda occidentale del Dniepr sarebbe come ricreare una nuova Elba dopo la Seconda guerra mondiale. Mi auguro solo che non sia l’obiettivo di alcune potenze occidentali…

(Marco Biscella)

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