Zelensky cerca di coinvolgere la Cina in colloqui di pace, per ora molto velleitari, in cui la Russia non è invitata. Vuole far vedere all’Occidente che cerca una strada alternativa alla guerra. Sul campo di battaglia, però, i russi avanzano e gli ucraini rischiano di cedere in qualche punto del fronte. Un contesto in cui, osserva Gianandrea Gaiani, direttore di Analisi Difesa, anche gli USA hanno rinunciato a sostenere una controffensiva ucraina, ripiegando su un piano a lungo termine di rafforzamento dell’economia e delle forze armate di Kiev. Europei e americani vedono fallire totalmente la politica delle sanzioni e scoprono che prodotti come i microchip sono stati importati dai russi dall’Occidente attraverso Emirati Arabi e Turchia, Paesi che, dopo averli acquistati, li hanno girati a Mosca.



Gli ucraini continuano a parlare di colloqui di pace in Svizzera e di un invito rivolto alla Cina perché partecipi a questa iniziativa. Cosa significa il tentativo di coinvolgere Pechino?

A questi colloqui i russi non sono stati invitati. Zelensky, che l’anno scorso ha fatto approvare al parlamento una legge che vietava di negoziare con Mosca, deve far vedere agli occidentali, stanchi della guerra, che lavora per la pace, per indurli a non interrompere il loro sostegno. L’idea di presentare un piano di pace in Svizzera coinvolgendo la Cina, che si è sempre detta neutrale e non ha mai condannato la Russia, è un tentativo che ha un valore politico, anche se lascia il tempo che trova perché rischia di essere un’operazione di facciata. La Russia, comunque, ha detto che le condizioni per dialogare in questo momento non ci sono.



Colloqui di pace senza i russi possono ottenere qualche risultato?

La pace si deve fare con la Russia. Si può tentare di far sì che la Cina convinca Mosca a negoziare, ma Putin è disposto a farlo alle sue condizioni: quelle che sta cercando di raggiungere militarmente con il controllo del territorio e quelle politiche con una Ucraina neutrale, che con Zelensky è impossibile.

Secondo il Washington Post ci sarebbe un piano USA per sostenere Kiev, che non comprende la riconquista dei territori, ma il rafforzamento dell’economia e delle forze armate ucraine. Gli americani si mettono sulla difensiva?



Gli USA non sono in grado di sostenere una nuova controffensiva ucraina: bisognerebbe fornire mezzi che gli americani non vogliono dare. Anche per ragioni di prestigio: i carri armati Abrams messi a disposizione dagli Stati Uniti non sono stati usati in combattimento. Molti dicono che gli americani abbiano vietato di mandarli in battaglia perché se venissero danneggiati o distrutti dai russi questo non farebbe bene alla reputazione degli equipaggiamenti occidentali. Hanno paura dell’impatto che avrebbe sugli alleati che comprano armi americane.

Da dove proviene questa paura?

Quando gli ucraini hanno chiesto agli europei di fornire i Leopard, Scholz rispose dicendo che prima gli USA dovevano dare i loro carri. Gli americani presero l’impegno di consegnare i carri armati e i tedeschi fecero arrivare subito i loro. Poi, però, le immagini dei Leopard 2 distrutti dai russi hanno fatto il giro del mondo. Con gli Abrams non è successo perché gli Stati Uniti impediscono agli ucraini di usarli.

Cosa ci spiega questa vicenda?

Che gli americani non hanno intenzione di fornire l’occorrente per una nuova controffensiva. Quello che può fare l’Occidente è, una volta finita questa guerra, aiutare Kiev a riorganizzare le forze ucraine, equipaggiarle con materiale standard NATO nell’arco di alcuni anni, per scoraggiare eventuali altri attacchi russi. Tutto questo dipenderà dall’accordo di pace, dai tempi necessari a riequipaggiare gli ucraini e da come il Paese uscirà dalla guerra.

Per come va la guerra i russi potrebbero sfondare da qualche parte e guadagnare ancora più territori?

Stanno avanzando tutti i giorni su tutto il fronte. Di un chilometro, 500 metri, due chilometri, però avanzano. Mantengono la pressione costante su quasi tutta la linea del fronte, impedendo agli ucraini di spostare le poche riserve che hanno su una zona invece che su un’altra: la carenza di truppe e munizioni comporta un forte logoramento delle forze ucraine. Una situazione che dovrebbe indurle a fare scelte dolorose, ritirandosi di 80-100 chilometri per difendersi meglio: decisione politicamente inaccettabile per Zelensky perché ha paura che così l’Occidente non lo sosterrebbe più. Non è escluso poi che i russi abbiano le capacità di lanciare un’offensiva pesante in qualche zona del fronte: sono in vantaggio di uomini e mezzi, perché la loro produzione bellica è a pieno ritmo e perché hanno arruolato mezzo milione di volontari.

Nell’ultimo anno i russi avrebbero comprato un miliardo di microchip europei e americani, triangolando le operazioni con Paesi come Turchia ed Emirati Arabi. Nel frattempo, gli Stati europei dibattono la possibilità di confiscare i beni russi all’estero. Cosa ci dicono queste due vicende?

Sono due casi che hanno implicazioni diverse. Il primo è l’esempio lampante del fallimento dei leader dell’Occidente, che per due anni hanno raccontato una marea di bugie. Hanno detto che i russi rubavano le schede elettroniche dagli elettrodomestici ucraini per metterli nei loro missili (Von der Leyen), che le sanzioni avrebbero in poche settimane distrutto la macchina bellica russa (Von der Leyen e Mario Draghi) e che avrebbero messo in difficoltà e fatto cadere Putin (Bruno Le Maire, ministro delle Finanze francese). Fandonie che hanno reso i Paesi e i loro leader inaffidabili agli occhi del mondo. In questi due anni in cui l’Occidente ha chiesto di isolare la Russia è accaduto l’esatto contrario: c’è la fila dei Paesi, tutti produttori di materie prime, che vogliono entrare nei BRICS, i cui leader sono russi e cinesi. C’è la fila di Paesi africani che cacciano gli europei e chiamano i russi.

Come è stato possibile, però, che prodotti europei siano finiti ai russi?

Quando esportiamo negli Emirati Arabi o in Paesi che hanno strettissimi rapporti commerciali con la Russia è chiaro che questi prodotti possono essere rivenduti a Mosca. Così come il petrolio che i russi non danno più a noi viene ceduto all’India, da cui noi lo ricompriamo. È la globalizzazione. Potremmo non vendere più microchip a nessuno, ma allora le nostre aziende andrebbero in difficoltà e altre imprese li venderanno al posto nostro. È il fallimento della politica americana di sanzionare chiunque dissenta da loro. I sanzionati siamo noi europei che continuiamo a comprare dall’India gas liquido russo pagandolo a caro prezzo.

Il dibattito sulla possibile confisca dei beni russi, invece, cosa ci dice?

È l’altra faccia del suicidio. Se si bloccano 300 miliardi di beni russi in Occidente, la risposta sarà il blocco in Russia di una quantità forse inferiore, ma comunque alta, di miliardi di investimenti delle nostre aziende in quel territorio. Il risultato finale sarà la fuga di capitali dall’Occidente. Di fronte al blocco dei beni russi, qualunque altro Paese che voglia investire in Europa dovrà prendere in considerazione il rischio di un’eventuale confisca nei suoi confronti. Anche solo il dibattito su questi temi dà l’idea di come i leader dell’Occidente siano, quanto meno, degli incompetenti. Quello che stanno facendo è la distruzione della fiducia del mondo nel sistema occidentale. In un momento in cui, in due anni, l’uso del dollaro sui mercati internazionali è sceso del 20% e quello dell’euro di oltre il 30%, un’azione del genere non farà che penalizzare l’Occidente come luogo di investimenti.

(Paolo Rossetti)

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