Una lettera di dimissioni irrevocabili proprio alla vigilia della presentazione ufficiale della commissione von der Leyen 2. Ieri, con un colpo di teatro, Thierry Breton, commissario al Mercato unico, la poltrona più importante della Commissione, è sceso dalla nave di Ursula von der Leyen. Macron ha indicato al suo posto Stéphane Séjourné, ministro degli Esteri nel governo Attal.



Von der Leyen è una accentratrice, non vuole ombre altrui ed è convinta di rafforzarsi, ma l’addio di Breton ne indebolisce l’immagine, ci dice Francesco De Remigis, giornalista già corrispondente da Parigi. La resa dei conti era inevitabile, e Macron l’ha subita. Ora l’ex commissario potremmo ritrovarlo come ministro del governo Barnier.



Breton si è dimesso accusando von der Leyen di volerlo sostituire con un’operazione a sua insaputa, per di più offrendo uno “scambio politico” che prevede più peso per la Francia. Cosa è successo?

Riavvolgiamo il nastro di qualche settimana. Macron, a margine del Consiglio europeo del 28 giugno e alla vigilia del voto francese, bruciò sul tempo gli altri Paesi prenotando di fatto una casella chiave per Parigi nella nuova Commissione europea. Disse: il nostro uomo è Breton. Punto. Un’accelerata che già allora Von der Leyen non gradì affatto.

Poi il 25 luglio Breton fu designato ufficialmente dall’Eliseo.



Sì, ma i conti non tornavano a una presidente che puntava ad ritagliare l’agenda su se stessa. Von der Leyen non intende condividere certi dossier: è diventata via via un’accentratrice, e questo Breton non lo ha mai digerito. Gelosie, ma non solo.

Nella lettera si fa riferimento ad una “governance carente”. A tuo avviso a che cosa si riferisce Breton? Qualcuno ha rivangato le sue stoccate sul consenso risicato di von der Leyen nel Ppe.

La controversia fra i due è sia personale, sia politica. Un regolamento di conti era inevitabile. Breton, suo vice, non ha digerito la sua mancata promozione, per così dire.

Al posto di von der Leyen?

Certo. Non è un segreto che sarebbe voluto essere lui il nuovo capo della Commissione, e anche per questo ha provato a indebolire la ricandidatura di von der Leyen.

Come mai non ce l’ha fatta?

Non avendo Macron il peso politico vantato nel primo mandato l’operazione non è riuscita, e non è neppure iniziata.

Ma Breton aveva le carte in regola?

Breton ha gestito Mercato interno, Difesa, digitale, ergendosi a sceriffo del web. Di fatto aveva il portafoglio più importante. Ursula non si è fatta schiacciare, andando all’ultimatum con Macron. Se vogliamo, anche vendicandosi per le uscite del suo ormai ex commissario sul consenso nel Ppe. Va detto, però, che qualche merito lo ha sottratto a Breton. Altro motivo di tensione fra i due.

Quali dossier avrebbe sottratto von der Leyen a Breton?

Ursula si è di fatto intestata il piano legato all’industria della Difesa comune messo in campo proprio da Breton alla fine della scorsa legislatura del Parlamento europeo. La presidente ne parlò all’eurocamera come se fosse una sua intuizione.

C’è solo questo?

No, c’è stata pure la gestione dell’industria dei vaccini durante la pandemia. Tutti si ricordano la voce di von der Leyen, ma il grosso del lavoro lo ha fatto Breton. E poi, più di recente, ci sono state le frizioni registrate dopo le critiche del francese a Elon Musk, con cui invece von der Leyen sta di fatto cercando di andare d’accordo. Bruciature che hanno lasciato il segno.

Ha aspettato il momento giusto?

Sicuro. È un coup de théâtre in pieno stile francese, fatto sapendo di creare difficoltà a una presidente già in ritardo sul timing.

Adesso?

Se von der Leyen non chiude a strettissimo giro, qualche problema di leadership c’è. Da quando esiste la Commissione, il j’accuse di Breton è l’unico caso di un vice che va così spettacolarmente all’assalto di un presidente uscente. In teoria oggi von der Leyen dovrebbe presentare l’intera squadra, ma non è confermato. Ciò dà l’idea della portata del terremoto innescato dal caso Breton.

Insomma, le “personal reasons” risalgono all’indietro.

Breton diventò commissario dopo una bocciatura del nome francese, poi vice di peso. Via via una sorta di factotum passato dal dare la linea in grandi aziende a gestire dossier continentali, finché non è salito sul ring contro Ursula, da ultimo contestando il posto da lei assegnato all’eurodeputato tedesco del Ppe Markus Pieper di responsabile delle piccole e medie imprese, poche settimane prima del congresso di Bucarest in cui il Ppe disse infine sì al secondo mandato von der Leyen.

Le polemiche, nel pieno della campagna per le europee di giugno, portarono al ritiro di Pieper, senza però pesare sulla tedesca.

Vero. Ma è stato lì che Breton è andato KO, nel match iniziato mesi prima contro Ursula.

Qual è il primo esito di questa rottura?

Oggi è evidente che von der Leyen vuole una Commissione più fedele, meno nomi forti, meno concorrenti, se la Francia vuole contare. Mentre Breton, col suo addio, ha fatto passare Ursula per quella che forse è: una leader non così forte in patria e neppure nella sua famiglia politica europea, ma che sfrutta oggi come ieri la sua posizione Ue, arrivando perfino a dire chi può essere un buon commissario e chi invece no. E questo sta facendo infuriare anche molti partiti in Francia.

Che reazioni ci sono state?

Fabien Roussel, il leader del Partito comunista francese, accusa Macron di seguire gli ordini della tedesca. E non è il solo.

Macron ha indicato Stéphane Séjourné. Cosa puoi dirci del suo profilo?

Diciamo che al Quai d’Orsay non ha brillato, ma come megafono macroniano certo ha buone chance di riuscita.

Da Breton a Séjourné: la si definirebbe una staffetta tutta interna alla “macronie”.

È qualcosa di più. Da un macroniano d’esperienza, più manager che uomo di partito, a un fedelissimo del presidente. Per Macron, è anche un modo per poter dire la sua a Bruxelles, con un governo francese che non sarà lui a gestire e neppure a influenzare come accaduto in questi sette anni.

Il prossimo lavoro di Breton?

È un europeista convinto, fine negoziatore, e potrebbe rientrare nella partita casalinga visti gli ottimi rapporti col neopremier Barnier. Non è scontato, ma c’è l’ipotesi di vederlo nel nuovo esecutivo atteso per domenica.

Chi è più forte e chi più debole, dopo questo passaggio politico?

Che Macron sia il più debole nella partita, mi pare evidente. Non lo è la Francia, perché come Paese ha il suo peso storico intatto. Von der Leyen ha offerto un compromesso: boccia l’uomo tuttofare, la gestione arrembante di Breton, ma è pronta a promuovere la Francia. Lavorare con un commissario dal peso specifico non certo ingombrante mette lei sul piedistallo. Questo, almeno, nelle ipotesi. Ora si tratterà di vedere come parte la nuova Commissione.

(Federico Ferraù)

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