Greta Thunberg, se ci sei, batti un colpo. Quando si parla di “pregiudizio ideologico” a proposito dell’ambiente, alla sbarra finisci tu, un po’ ingenua, un po’ incosciente, rea di aver condannato lo “sterile bla-bla” dei Governi a proposito del climate change. Ormai, sull’onda delle difficoltà economiche e delle, peraltro legittime, proteste di chi teme di dover pagare il prezzo più salato alla battaglia per un ambiente meno inquinato, i propositi verdi passano in secondo piano. O peggio. Chi avrebbe l’ardire di invitare Greta sul palco di Sanremo per contestare i forconi? Eppure l’emergenza esiste. Anzi, peggiora come dimostra l’aumento della temperatura nell’ultimo mese che anticipa gli effetti sul clima nella prossima estate, se non prima. A danno anche, se non soprattutto, dei frutti della terra. Ma non solo.



In questi giorni stanno andando in fumo buona parte dei rimedi pensati per metter sotto controllo i danni provocati dalla combustione fossile. L’Unione europea prevede di inserire un nuovo target sulla strada della decarbonizzazione che a oggi prevede di ridurre nel 2030 le emissioni nocive del 55% rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Il nuovo obiettivo è di arrivare a una riduzione del 90% entro il 2040. Un cambio di rotta che riflette le difficoltà emerse nella transizione elettrica.



Sui mercati trionfa Toyota, che ha scelto l’ibrido (in attesa dell’idrogeno) rispetto all’elettrico. Renault, invece, ha dovuto rinunciare alla quotazione di Ampere, il marchio sotto cui riunire e-volt. Non è solo una sfida all’insegna della tecnologia, ovviamente. La partita riguarda il ritardo nei confronti dei cinesi, leader incontrastati dell’elettrico, i costi più elevati che spiazzano una parte rilevante dei consumatori e, non meno importanti, i posti di lavoro.

Di qui un set di nuove raccomandazioni più blande. Un cambio di passo deciso per evitare uno stop troppo rapido ai motori termici, un passaggio fondamentale per raggiungere gli obiettivi al 2050.



Anche perché la regolamentazione proposta, come Euro 7, è troppo costosa per le case automobilistiche. La transizione, se non supportata da una pioggia di sussidi, rischia di diventare sinonimo di deindustrializzazione a fronte dei massicci aiuti dell’Inflation reduction act americano e del piano Made in China 2025 di Pechino. Di fronte a queste emergenze le preoccupazioni ambientali passano in secondo piano.

E che dire dei pesticidi? Salta l’obiettivo di ridurne del 50% l’uso entro il 2030. Le proteste degli agricoltori hanno convinto la Commissione a rivedere anche il testo delle precedenti raccomandazioni. Nel suggerire la riduzione del 90% delle emissioni al 2040 è stata infatti cancellata l’indicazione secondo la quale per avviare la strada verso la decarbonizzazione si sarebbero dovute ridurre del 30% le emissioni in campo agricolo. Il tutto al netto delle agevolazioni sul carburante e sulle tasse mescolando le rivendicazioni.

Ecco come Les Echos valuta questo e altri passi indietro sulla strada. Dice Dominique Potier, deputato socialista, agricoltore e autore del rapporto, uscito a dicembre, su precedenti fallimenti dei piani sui pesticidi: “Temo che si tratti di un reale indebolimento del fragile consenso raggiunto dalla Francia per ridurre la dipendenza del settore dai pesticidi. Si tratterebbe di un passo indietro di 15 anni e di un ulteriore indebolimento del Green Deal europeo.  Non è possibile mettere in pausa il collasso della biodiversità o gli effetti dei pesticidi sulla salute umana”.

Incalza su Le Monde Marc-André Selosse, docente al Museo nazionale di scienza naturale e all’Istituto universitario di Francia a Parigi, esperto di micorizzazione e vita nel sottosuolo: “In trent’anni i pesticidi hanno eliminato l’80% degli insetti, e in quindici anni hanno ucciso il 30% degli uccelli: assistiamo al crollo dell’impollinazione da parte degli insetti, che dà semi e frutti, e alla scomparsa della capacità degli uccelli di tenere sotto controllo il numero di insetti indesiderati”.

Considerazioni non meno allarmate riguardano le ricadute dell’attività industriale della siderurgia o altre attività ad alto tasso di inquinamento. Non è il caso di dimenticarsi dell’allarme di Greta, con buona pace di chi, Donad Trump in testa, cavalca la tesi che l’allarme sul clima è un’invenzione di una qualche massoneria.

Insomma, prendiamo atto che finora molte cose sono andate storte anche per il lavoro indefesso delle lobby. Di petrolieri e Stati petroliferi. Occorre trovare un modo per conciliare crescita e ambiente, cosa tutt’altro che facile. E comunque costosa.

Che fare? Il passaggio è stretto e non consente distrazioni o fughe all’indietro di stampo populista. È quindi imperativo evitare una frattura tra agricoltori e cittadini, perché questi ultimi possono, attraverso i loro acquisti o sussidi, aiutare la transizione verso l’agroecologia. Non possiamo chiedere agli agricoltori di produrre, allo stesso prezzo, non solo cibo e paesaggi rurali, ma anche la salute degli ecosistemi, la purezza dell’acqua e la qualità dell’aria. D’altra parte, già paghiamo per l’agricoltura: ogni europeo paga 120 euro all’anno per la Politica agricola comune europea.

Ma questi soldi, lungi dal favorire la ricerca di una soluzione, ci fanno precipitare in una maggior dipendenza dai combustibili fossili o dai pesticidi. Le scienze sono l’unica potenziale soluzione per l’agricoltura. E per la generazione di Greta. Oggi meno di moda.

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