“È come tifare Milan e Inter insieme: non si può”. A Enrico Letta non è parso vero di poter affondare il colpo contro Matteo Salvini per il manifesto sovranista per il futuro dell’Europa. Per il segretario Pd non è possibile essere alleati con Orbán a livello continentale mentre a Roma si sostiene il governo Draghi.
Il brusco scambio polemico fra democratici e leghisti che ne è seguito appartiene ormai ai riti consolidati di questa singolare fase politica. E la narrazione di un Giorgetti contrario alla scelta di firmare un documento di principi con la Meloni, la francese Le Pen, lo spagnolo Abascal, il polacco Kaczynski, e altre dieci formazioni sovraniste apre la discussione se quello del leader leghista sia stato o meno un passo falso.
Nulla però si capirebbe se non si contestualizzasse la scelta di Salvini nel particolare momento che l’Europa sta vivendo. La politica del rigore, sostenuta senza esitazioni dal Ppe, dal Pse e dai Liberali, è stata messa da parte di fronte alla botta che la pandemia ha assestato all’economia continentale. Il Next Generation EU costituisce una svolta, anche perché in parte finanziato con titoli di debito comuni, un tabù nell’epoca pre Covid non solo per i paesi “frugali”, ma anche per la stessa Germania.
Ora è proprio in ambito tedesco che passa la linea di demarcazione: l’epoca di Angela Merkel è agli sgoccioli, dopo 16 anni alla Cancelleria il 26 settembre verrà scelto chi le succederà. Resisterà la Cdu/Csu, che candida Armin Laschet, o prevarranno i Verdi, fenomeno nuovi della politica “made in Germany”? Il futuro dell’Unione si gioca fra quel voto e quello della primavera prossima per l’Eliseo, dove la riconferma di Emmanuel Macron non appare affatto scontata. Anche la scelta di gennaio per il Quirinale è destinata a pesare, e non poco.
Il manifesto delle destre costituisce un pesante atto di accusa nei confronti di un’Europa che ha rappresentato una lenta ma continua cessione di sovranità dagli Stati nazionali agli organismi comunitari. E lo fa mettendo insieme due gruppi del parlamento di Strasburgo (i Conservatori, guidati dalla Meloni, e Identità e Democrazia, in cui stanno i leghisti), che insieme contano 115 deputati. Se si fondessero sarebbero il terzo gruppo dopo Ppe e Pse, e con il loro peso sarebbero una spina nel fianco dei popolari, condizionandone l’azione.
Altro elemento rilevante è che questo coacervo di partiti sovranisti in questa carta non mettono più in discussione la moneta unica europea. Sotto accusa sono la burocrazia europea, con il suo peso e la sua capacità di rendersi indipendente dai controlli. Si tratta, è evidente, di temi molto più condivisibili e molto meno dirompenti dal chiedere la fine dell’euro, soprattutto per Salvini, che su questo terreno qualche passo falso in passato l’ha fatto.
Del resto, il leader leghista ha buon gioco nel farsi scudo delle parole dello stesso Draghi, quando ha detto chiaramente che il Patto di stabilità nel prossimo futuro dovrà cambiare. Certo, l’ex presidente della Bce, ora premier italiano, rimane europeista fino al midollo, ma la sua chiamata alle armi meno rigorista e più votata alla crescita costituisce un argomento potente per Salvini per dimostrare di non essere affatto su posizioni eversive. Che il Fiscal compact abbia finito per impoverire il continente, legandone mani e piedi l’economia è cosa difficilmente smentibile. Il domani dell’Europa non può che essere diverso.
Le invettive di Letta fanno quindi ancora una volta un buco nell’acqua, anche se questo non vuol dire affatto che il segretario del Carroccio abbia fatto una mossa vincente. Semplicemente dimostra che ragionare di un’Europa diversamente impostata è possibile, e costringerà il Ppe a una riflessione nella quale molto dipenderà dal voto tedesco di settembre. Il suo modo, ruvido se vogliamo, di aprire quel dialogo che Giorgetti ritiene essenziale.
Tempi lunghi, quindi, perché mettersi insieme per reclamare un’Europa meno sistema omologante e maggiormente identitaria è (relativamente) facile, ma segnare una definitiva inversione di tendenza rispetto all’austerità di bilancio potrebbe rivelarsi assai più complicato. Siamo però di fronte al primo “vero” tentativo di elaborare un assetto europeo alternativo a quello che gira intorno all’asse privilegiato fra Ppe e Pse. Toccherà anche ai popolari rispondere.
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