Mentre è oggetto di valutazione il rapporto Draghi sulla necessità di rafforzare la competitività economica dell’Ue attraverso mega investimenti a debito comune sto osservando sia un flusso crescente di investimenti extraeuropei su aziende europee sia un aumento di acquisizioni e partecipazioni in aziende italiane da parte di attori europei ed extraeuropei. Ho chiesto ai miei ricercatori uno scenario preliminare per capire se e quanto tali flussi possano essere sostituitivi di investimenti a debito.
La risposta di prima ipotesi, utile a mirare meglio un successivo scenario probabilistico più strutturato, è stata: a) la bassa probabilità di un debito comune elevato senza escluderne un po’ in alcuni settori specifici, per opposizione (incomprimibile) di alcune euronazioni, rende necessario l’aumento di flussi di investimento extraeuropei nell’Ue e quindi la risposta è che l’Ue stessa deve comunque aumentare l’attrazione di capitali anti-declino; b) per l’Italia questa è una priorità più evidente che in altre euronazioni per i suoi limiti di bilancio pubblico in un orizzonte temporale di parecchi anni; c) il potenziale industriale manifatturiero innovativo europeo è molto più elevato di quanto sia oggi valutato, e molto più di quanto si pensi tra i più quello italiano. In base a queste risposte preliminari ho indicato al gruppo di ricerca di scenarizzare le condizioni per un aumento dell’attrazione continentale di investimenti esteri con fuoco particolare sull’Italia.
Ho la sensazione di non essere molto anticipativo in questo caso perché sono osservabili alcuni movimenti, pur non esplicitati, del Governo italiano nella direzione di attrazione di investimenti esteri compatibili con il golden power. Per esempio, l’interlocuzione tra Primo ministro e grandi fondi statunitensi e l’entrata di uno di questi nell’azionariato di Leonardo e l’intenso dialogo con Elon Musk, evidentemente non basato su simpatia generica, ma su interessi specifici espressi in un negoziato riservato. E altro del genere.
Poi va annotata la posizione della Bce che vuole favorire le fusioni bancarie trasnazionali nell’Ue per avere istituti più forti combinata con alcune espressioni che filtrano dal settore: l’ingrandimento internazionale delle banche è un moltiplicatore forte di credito e di operazioni finanziarie innovative.
A queste sensazioni ne aggiungo una mia. In America il finanziamento delle imprese è di circa l’80% non bancario, mentre nell’Ue è di circa il 20%. Dovremmo seguire l’America o creare un sistema bancario capace di operare anche come fondo non bancario tradizionale? La seconda via mi sembra più realistica. Come? Favorendo fusioni senza aspettare l’evoluzione delle regole europee, anticipandole di fatto, perché le regole attuali non lo impediscono.
In attesa di dati meglio organizzati mi sembra che per l’Ue e l’Italia si stia aprendo una possibile competitività non via debito, ma via attrazione e potenziamento del ciclo attivo del capitale.
www.carlopelanda.com
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