Ursula von der Leyen gli aveva affidato il compito di redigere un rapporto sulla competitività nell’Unione Europea. Mario Draghi ha fatto il suo dovere e ieri, in una conferenza in Belgio, ha pronunciato un discorso che – anticipando alcuni contenuti del report – è diventato una sorta di manifesto dell’Ue prossima ventura. Un programma economico e di governo politico in cui l’ex presidente della Bce pone una candidatura di fatto alla guida dei 27, tanto più che il discorso è stato pronunciato alla vigilia del Consiglio europeo straordinario di oggi.
Per rilanciare l’Ue in modo che sia adatta “al mondo di oggi e di domani”, Draghi ha proposto “un cambiamento radicale”: “la trasformazione dell’intera economia europea”. Riforme profonde, interventi rapidi sulle istituzioni, fino al punto da ipotizzare un’Europa a due velocità. Non è una novità. Per Draghi è infatti necessario “sviluppare ora un nuovo strumento strategico per il coordinamento delle politiche economiche. E se dovessimo scoprire che ciò non è fattibile, in casi specifici, dovremmo essere pronti a considerare di procedere con un sottoinsieme di Stati membri. Ad esempio, una cooperazione rafforzata potrebbe essere una via da seguire per mobilitare gli investimenti”. Un’Europa di serie A, che decide obiettivi e risorse, e una di serie B che viene trainata senza troppe discussioni. “Una ridefinizione”, ha aggiunto l’ex presidente del Consiglio italiano, “non meno ambiziosa di quella che fecero i padri fondatori 70 anni fa con la creazione della Ceca”.
Draghi, sia chiaro, non ha formalmente bocciato nessuna delle direttrici lungo le quali si è mossa la von der Leyen, dall’“agenda climatica ambiziosa” (per la quale sarebbe comunque pronto a dettare nuove regole) al “sistema di difesa integrato e adeguato” (un vecchio pallino del Quirinale, condiviso, guarda caso, all’Eliseo). Ha criticato le lentezze e la mancanza di visione strategica globale mentre il resto del mondo accelera nella “corsa sempre più spietata per la leadership nelle nuove tecnologie”.
È un programma che richiede comunque tempi lunghi e massicci finanziamenti. Ci vorrebbero almeno una decina d’anni prima di vedere un pannello fotovoltaico “Made in EU”, i cui costi non sarebbero mai inferiori a quelli cinesi. Draghi non ha specificato quanti soldi serviranno, ma ha lasciato intendere dove potrebbe andare a prenderli. “La maggior parte del gap di investimenti dovrà essere coperto da investimenti privati”, ha detto. “L’Ue dispone di risparmi privati molto elevati, ma sono per lo più incanalati nei depositi bancari e non finiscono per finanziare la crescita come potrebbero in un mercato dei capitali più ampio. Questo è il motivo per cui il progresso dell’Unione dei mercati dei capitali è una parte indispensabile della strategia complessiva per la competitività”. Tradotto, significa che la rivoluzione draghiana sarà finanziata con i risparmi dei cittadini europei (dunque italiani) depositati in banca.
Il discorso programmatico di Draghi, per circostanza, tempi e contenuti sancisce politicamente il de profundis per la “Spitzenkandidat” Ursula von der Leyen. Grazie al solido legame con il presidente francese Emmanuel Macron, che farebbe da cerniera tra socialisti e popolari, Draghi godrebbe già di una buona base di consenso per insediarsi sulla poltrona di leader dei 27. Non gli mancheranno voti dai conservatori: Orbán e i polacchi gli hanno già garantito l’appoggio. Ma anche quello di FdI non mancherà, visto che da tempo Giorgia Meloni ha avviato una manovra di avvicinamento al predecessore scaricando la von der Leyen. Un affiancamento confermato ieri dal presidente del Senato, Ignazio La Russa, che pur non avendo letto il discorso dell’ex presidente della Bce, ha affermato: “Draghi ha i titoli per ambire a ogni ruolo”. Più accordo di così, si muore.
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