Il 24 giugno si è concluso il più faustiano dei Consigli europei. Un aforisma attribuito a Goethe sintetizza il risultato ottenuto: “Pensare è facile, agire è difficile, e mettere i propri pensieri in pratica è la cosa più difficile del mondo”.

Mentre i giornaloni riempiono pagine con le solite autoreferenziali veline ricevute dagli uffici stampa dell’Unione Europea ed eminenti studiosi ci ripetono il vecchio mantra dei primi anni del secolo che “l’Europa deve allargarsi e integrarsi contemporaneamente” (così Nathalie Tocci, “Se per sopravvivere l’Europa si allarga”, La Stampa 24 giugno 2022), in pochi si accorgono che “l’Europa fa la storia e gli euroburocrati confondono le tracce. Che una Unione di fatto, senza statuto federale, si accorga che la guerra mossa dalla Russia all’Ucraina, al centro del continente, non sia sopportabile e scelga di aprire le sue porte a Kiev, è fatto storico. Ma dare lo statuto di candidato anche a Moldavia, Georgia e, allora perché no, ad Albania e Macedonia del Nord, con tutto il rispetto per le richieste di tali Paesi, tende a nascondere il significato storico di aprirsi a un Paese in guerra. L’Ue fa prevalere le procedure, care ai burocrati di Bruxelles, conferma l’apertura a est imposta nel 2000 dagli Usa, ma impedisce di riflettere sul futuro politico e sul rapporto tra cooperazione rafforzata dei Paesi fondatori e nuove adesioni”.



Perfino una testata onestamente europeista ha titolato che “Questa volta è un fallimento su tutta la linea. L’Ue non riesce a rispettare nessuna promessa ai Balcani occidentali”, scrivendo che anche nel 2022 il summit tra i leader dell’Unione e dei sei Paesi balcanici si chiude con un nulla di fatto. Ma questa volta i malumori nella regione per lo stallo sono espliciti: “La Bulgaria è una disgrazia, ma è solo l’espressione più evidente di un processo di allargamento ormai guasto”. Qualche settimana prima del Consiglio europeo un ottimo editoriale del Carnegie Europe metteva in guardia sul “processo di allargamento, un tempo annunciato come il più grande successo dell’Europa, che è in stallo da anni. Le sfide sono scoraggianti: i Balcani occidentali soffrono di controversie irrisolte ereditate dalla dissoluzione della Jugoslavia, così come gli Stati successori dell’Unione Sovietica nell’Europa orientale occupata dalla Russia. Le riforme politiche ed economiche sono tenute prigioniere delle élite corrotte. I leader europei puntano alla governabilità di un’Ue più ampia e diversificata, temono l’importanza della politica conflittuale e corrotta dei Balcani occidentali e ora dei tre nell’Europa orientale (Ucraina, Moldova, Georgia). Se l’Europa non può riformare sé stessa, come può espandere i suoi membri? Questa risposta è chiaramente inadeguata alla sfida”.



Come nota Florian Bieber, dell’Università di Graz, “questo non è certo il modo per mostrare a Ucraina e Moldavia che hanno un futuro nell’Ue”. Gli ha fatto eco Gerald Knaus, direttore del think tank European Stability Initiative: “L’Ue dice ai Balcani no, no, no, no, no. Pessimo per l’Ue, preoccupante per Moldavia e Ucraina, ora Paesi candidati in un processo che non porta da nessuna parte. Il destino dei Balcani occidentali e della Turchia sarà il loro stesso destino senza cambiamenti in Ue”. Srđan Majstorović del Centro per le prospettive europee di Belgrado, ha dichiarato persino che “il Cremlino ha di che essere soddisfatto dal momento che i membri dell’Ue non sono stati in grado di garantire il consenso affinché tutti gli Stati membri accettassero la realtà geopolitica tanto invocata, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, ci si aspettava più comprensione politica”.



Senza una vera analisi politica e una visione geopolitica ben fondata suonano vuote le parole del presidente francese Emmanuel Macron che ha esposto la sua visione per una più ampia “comunità politica europea”, mentre Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, prevedeva una nuova “comunità geopolitica europea”. Il capo della diplomazia europea, Josep Borrell, e il suo dante causa Ursula von der Leyen, presidente della Commissione, ci hanno regalato una “bussola geopolitica” che dovrebbe colmare il vuoto sostanziale degli euroburocrati. Fresca di approvazione, la “bussola” non si è accorta che le sanzioni alla Russia hanno risvegliato i più primitivi sentimenti anti-russi in Lituania (forse sostenuta da inglesi e polacchi) che impedisce il transito di merci e provviste russe, strozzando la città dove al passaggio di Kant si regolava l’ora, Königsberg, cuore del ducato di Prussia che nel 1945 passò ai russi, russificata e ribattezzata Kaliningrad. Perché vogliamo testate Nato sempre più vicine a Mosca ma non vogliamo testate russe in Europa? Perché l’Occidente vuole “riconquistare” e purificare da operai e contadini russi, che vivono là da generazioni, Donbass, Transnistria, Crimea? Il direttore di Limes spiega che queste azioni della Lituania (ma non della Polonia) nel corridoio di Suwalki rischiano di diventare un casus belli ma Borrell, in perfetto stile euroburocratico, ci dice che si tratta “solo di propaganda e che non esiste alcun blocco del traffico di persone e merci non sanzionate”. D’altra parte, aggiunge, “non è una decisione della Lituania, se le sanzioni ci sono vanno applicate”.

Nel tardo medioevo si davano soldi al Papa per comprarsi il perdono di Dio, oggi l’Unione Europea vende delle indulgenze – la “prospettiva europea” – ben sintetizzate nei risultati del Consiglio europeo che “ha ribadito di essere fermamente dalla parte dell’Ucraina e che l’Ue continuerà a fornire un forte sostegno alla resilienza economica, militare, sociale e finanziaria complessiva dell’Ucraina, compresi gli aiuti umanitari, condanna risolutamente gli attacchi indiscriminati della Russia contro i civili e le infrastrutture civili e che il diritto internazionale umanitario deve essere rispettato, che la Russia, la Bielorussia e tutti i responsabili dei crimini di guerra e degli altri crimini più gravi saranno chiamati a rispondere delle loro azioni in conformità del diritto internazionale, che i lavori sulle sanzioni proseguiranno, compresi gli sforzi per rafforzare l’attuazione e prevenire l’elusione, che la Commissione europea presenterà presto una proposta per concedere all’Ucraina una nuova assistenza macrofinanziaria eccezionale fino a 9 miliardi di euro nel 2022 e presenterà proposte sul sostegno dell’Ue alla ricostruzione dell’Ucraina, che ha riconosciuto la prospettiva europea dell’Ucraina, della Moldova e della Georgia e che il futuro di questi paesi e dei loro cittadini spetta all’Ue che ha concesso lo status di paese candidato all’Ucraina e alla Moldova, che l’Unione Europea esprime il suo pieno e inequivocabile impegno a favore della prospettiva di adesione all’Ue dei Balcani occidentali e chiede l’accelerazione del processo di adesione, e, infine, che il Consiglio europeo è pronto a concedere lo status di paese candidato alla Bosnia-Erzegovina”.

Ad ogni problema o crisi si vende un’indulgenza. Dov’è la strategia? Dov’è un pensiero storico sui fenomeni? Ursula von der Leyen nelle vesti del pifferaio magico faustiano ci parla di “valori occidentali” da difendere. Ma quali valori? Quelli che i Greci vedevano a ovest del Libano e dell’Anatolia in contrapposizione a Serse? Oppure quelli di Alessandro Magno che conquistò l’Oriente? Per i Greci Europa era una Ninfa d’oriente rapita da Zeus, a cavallo fra due mondi. Ma forse ci aspettiamo troppo dal capo della burocrazia europea che sembra ispirata ancora dal vecchio testo socialdemocratico tedesco sul “dispotismo orientale” contrapposto alla libertà dell’Occidente. Come lei pensano anche Usa e Uk che provano a uccidere quella ninfa – Europa – quando spingono per una guerra, commerciale e in armi, dell’Occidente contro l’Oriente.

Persino l’uomo che fu il più ricco della Russia, Mikhail Khodorkovsky, ex padrone della Yukos, diventato il più noto oppositore del regime di Putin, ha avvertito l’Ue che sta sbagliando approccio e metodo: “Il problema è che gli attuali politici occidentali non hanno mai avuto colloqui con un gangster. Sono rimasto stupito quando ho scoperto che non c’era stato alcun accordo su forniture alternative e stai introducendo sanzioni? L’Ue si sta sabotando con le sanzioni petrolifere russe”.

Le speranze dell’italiano Mario Draghi di convocare un Consiglio europeo straordinario a luglio per discutere sul “tetto al prezzo del gas” si sono infrante in una notte: “Il Consiglio invita la Commissione a produrre uno studio sul tetto al prezzo del gas entro settembre”. Intanto, le “almeno due Germanie” corrono ai ripari per bocca del ministro dell’Economia Robert Habeck, che ha comunicato l’avvio della seconda fase del piano di emergenza per il gas: riduzione dei consumi e probabile razionamento.

L’Europa resta sonnambula in attesa del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che si recherà al vertice del G7 a Schloss Elmau nel sud della Germania il 25 giugno, dove i leader discuteranno della guerra in Ucraina e della crisi alimentare ed energetica che ha precipitato, e alla riunione della Nato a Madrid il 28 giugno, dove gli alleati dovrebbero concentrarsi sulla “trasformazione della Nato nel prossimo decennio”. Intanto, il resto del mondo si riorganizza nel “nuovo G9” – cinque nazioni Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), più Iran, Indonesia, Turchia e Messico, il cui Pil per potere di parità d’acquisto (Ppp) fa già impallidire il vecchio G8 dominato dall’Occidente. Qualcuno parla già di A-12 (Alternative 12) visto che anche Pakistan, Argentina e Algeria si muovono in tal senso. Aspettiamo pure con entusiasmo il presidente Biden ma diciamogli la verità: l’Occidente ha giudicato male la sovranità della Russia quando l’ha sanzionata, e ora sta pagando un prezzo molto pesante. Ma anche che il secolo americano – l’illusione neocon nata con la globalizzazione degli anni 90 – non esiste, sia perché non è sostenibile – l’impero mondiale costa, troppo – sia perché dal 2008 non esiste più “l’ordine mondiale” ma l’anarchia.

Le idee velleitarie di creare una “Nato globale” sono già morte, perché insieme a Cina e Russia si sta consolidando un insieme non-allineato ben più ampio di quel che fu il G77. Solo in valuta la Cina detiene oltre 3 trilioni di dollari, oltre ad una quantità di T-bonds, e resta il solo fornitore mondiale di terre rare senza le quali non si possono produrre i semiconduttori. Che succederebbe al dollaro, e quindi all’euro, se la Cina scaricasse nel mercato le riserve? Le leadership europee, nazionali e dell’Ue, sono prigioniere della mentalità del bottegaio – aspirare ad essere controllate dagli Usa ma continuare a fare affari con Russia e Cina – ma sono gli Stati Uniti d’America che devono oggi essere all’altezza della gestione globale dei fenomeni. Per fare questo ed evitare ulteriori disastri, le leadership americane devono pensare storicamente i fenomeni globali.

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