Paolo De Castro, europarlamentare del PSE (socialisti), ordinario di economia agraria nell’Università di Bologna, due volte ministro dell’Agricoltura con D’Alema e Prodi a Palazzo Chigi, riconosce il fallimento della transizione ecologica à la Timmermans (“non ha tenuto conto degli impatti che hanno le scelte”) ma avverte Salvini e tutti i leaders di ID che si sono riuniti a Firenze: il loro proposito di dividere il PPE è solo narrazione, perché l’Unione Europea si difende e non permetterà agli anti-europeisti di guastare le politiche di elaborazione del consenso che governano l’Europa. E delle quali i conservatori della Meloni e di ECR fanno parte, sia pure faticosamente, ormai a pieno titolo.



Il progetto dei socialisti? Per De Castro l’iniziativa legislativa dell’Europarlamento, da fare al più presto, e in un orizzonte più ampio “gli stati uniti d’Europa, una Unione finalmente federale”.

Per voi socialisti l’uscita di scena di Timmermans è un bene o un male?

Il problema non è la transizione ecologica in sé, che è fuori discussione, ma come realizzare gli obiettivi. Timmermans ha sbagliato nell’imprimere un’accelerazione ad un percorso che andava maggiormente condiviso con le forze economiche e sociali.



In che modo?

Prendiamo il settore alimentare, che è quello che conosco meglio. Gli agricoltori non sono stati visti come protagonisti della transizione, ma come imputati. Questo ha creato un malessere diffuso, culminato in una vera e propria ribellione, dimostrata dal voto in Olanda, dove gli agricoltori hanno fondato un movimento che è arrivato al 30% dei consensi e che in larga parte ha premiato Geert Wilders.

Un errore innegabile. Cosa vuol dire condividere gli obiettivi con le forze economiche e sociali?

Significa tenere conto degli impatti che hanno le scelte, facendo in modo che ciascuno diventi protagonista. Come? Attraverso un progetto. Dobbiamo costruire percorsi.



Esempio?

Voler ridurre, come ha fatto Timmermans, i fitofarmaci in agricoltura del 50% è un obiettivo condivisibile: chi non vuol ridurre la chimica in agricoltura? Ma per raggiungerlo occorre fornire alternative concrete per combattere le malattie. Perché Timmermans non ha fatto nulla per la lotta genetica? Perché non si è fatto un piano per il precision farming?

E in plenaria è arrivato il rigetto.

Esatto. È stato inevitabile. La proposta è arrivata il 5 luglio: praticamente ieri, cioè troppo tardi per applicarla, anche se, va detto, stiamo accelerando molto.

Non crede che si possa dire lo stesso per la direttiva sulle emissioni industriali?

Certo. Come può esservi compresa l’agricoltura? Le pare che è una stalla dedicata alla produzione di parmigiano reggiano possa essere equiparata all’Ilva di Taranto?

Naturalmente no, ma sfonda una porta aperta. Alternative?

Un progetto basato su sistemi di alimentazione che abbassano le emissioni. La riduzione non va imposta, ma accompagnata. Provvedimenti come quelli tentati da Timmermans hanno poi avuto il torto di non riconoscere i progressi che ha fatto il settore agricolo e zootecnico in questi ultimi 20 anni. C’è un grafico della FAO che mostra efficacemente le emissioni nel settore agroalimentare negli ultimi trent’anni. Mentre l’Europa e ancor più l’Italia ha ridotto le missioni nel settore agricolo e zootecnico di quasi il 15%, tutti gli altri Paesi del mondo, dagli Usa all’India e alla Cina le hanno aumentate, fino al clamoroso +40% del Brasile.

Il suo è un gradualismo ragionevole. Ma c’è un problema politico. È stata l’alleanza di socialisti e popolari a mettere Timmermans alla consolle del Green Deal. Perché lei non passa all’opposizione?

Raccolgo la sua provocazione, ma la fermo subito. Primo: non socialisti e popolari, ma socialisti, popolari e liberali. Non è indifferente. Questo ci porta al secondo punto. Non può esistere in Europa una maggioranza e un’opposizione come la intendiamo noi in Italia.

E perché?

Per il semplice motivo che i 27 Stati membri sono ciascuno espressione di maggioranze politiche diverse. Di conseguenza la Commissione non può che essere un mix di queste maggioranze diverse. Da quando esistono l’Unione Europea e una Commissione al governo europeo, il metodo comunitario è uno strumento di creazione di consenso e di maggioranze in funzione dell’obiettivo.

Dunque niente maggioranza e niente minoranza?

C’è la costruzione di un consenso, che a volte comprende, come in questo ultimo scorcio di legislatura, l’ECR – che quasi sempre ha supportato la maggioranza Ursula –, e a volte comprende i verdi. E a seconda degli obiettivi e dei dossier si creano maggioranze che tengono conto di tutti i gruppi. Eccetto Identità e Democrazia (ID).

Perché ID no?

Perché sono antieuropeisti e il loro obiettivo è distruggere il modello europeo. ID non è altro che un’accozzaglia di forze di estrema destra, alcune delle quali di chiara ispirazione nazista come la tedesca AfD.

Ed è una esclusione compatibile con la democrazia?

È un’autodifesa del modello europeo. Non da adesso ma da almeno 15 anni a questa parte esiste un cordone sanitario tra tutti i gruppi, dai verdi ai socialisti, dai popolari ai liberali, per bloccare l’accesso al percorso legislativo da parte di ID. È un accordo strategico, blindato.

E durerà?

Sì, perché l’Europa in questo modo si protegge da chi vuole distruggerla. Il cordone sanitario si legittima perché dobbiamo proteggere l’Ue da questi estremisti, che non rappresentano né la destra né la sinistra, ma una estremizzazione anti-europea pericolosa per il parlamento e le istituzioni dell’Unione.

Dunque gli elettori si scordino un cambio di maggioranze.

Non potrà mai esserci un partito popolare europeo alleato di ID, perché è impossibile, e ci tengo a sottolinearlo, che i popolari tedeschi della CDU-CSU possano allearsi con AfD. Come è impossibile che i Gollisti francesi possano allearsi con Marine Le Pen.

Questa Europa sotto il profilo istituzionale va bene così com’è?

No. Oggi l’iniziativa legislativa è esclusivamente nelle mani della Commissione e non va bene. Vogliamo che anche l’europarlamento abbia il potere di iniziativa legislativa, proprio come avviene nei parlamenti nazionali. Ancora: è necessario introdurre il voto a maggioranza al posto di quello all’unanimità, non in tutto ma in molti argomenti e dossier. Sono passi avanti. Ovviamente vorremmo di più.

Che cosa esattamente?

Gli Stati Uniti d’Europa, cioè un’Europa federale, ancora più unita, sul modello americano, con l’autonomia dei singoli Stati e una politica federale vera, forte, su difesa, politica estera, politica sanitaria, istruzione.

Lei cosa pensa dell’allargamento all’Ucraina?

Siamo assolutamente favorevoli all’ingresso di Kiev nell’Unione. Anche per venire incontro alle esigenze di uno Stato che è sotto attacco. Naturalmente l’Ucraina deve mettersi in regola, per non creare distorsioni all’interno dell’Unione soprattutto verso gli Stati dell’Est.

Le sue previsioni per la prossima legislatura?

Il prossimo parlamento europeo non sarà molto diverso da quello attuale. Ci sarà una conferma dei grandi gruppi che dovranno collaborare insieme per costruire le maggioranze che di volta in volta possono far avanzare l’Europa nella giusta direzione, con il consenso necessario.

Bisognerà stare attenti che questa creazione del consenso e le politiche conseguenti, fiscali, sociali, ambientali, non tradiscano il consenso dei votanti.

La discrepanza c’è stata perché l’Europa – diciamo meglio, la Commissione – è andata oltre quello che era il suo mandato ed ha interpretato soprattutto il Green Deal in modo non fedele alla volontà del popolo, delle imprese, del sociale. Non puoi fare le riforme contro qualcuno, devi farle sempre “con” gli altri.

(Federico Ferraù)

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