Dopo un mese di agosto a suon di record, apparentemente contro ogni logica economica, gli indici azionari americani hanno segnalato qualche preoccupazione sulla divergenza tra valutazioni ed economia reale. Anche in Europa i mercati hanno continuato la loro (lenta) ripresa, al cospetto di un’economia lontana dallo scenario più costruttivo degli Usa. Intanto le banche centrali portano avanti le loro politiche monetarie espansive. Dopo che la Fed ha fatto sapere che non baderà tanto all’inflazione, ieri la Bce ha garantito che il programma di acquisto di titoli di stato Pepp proseguirà almeno fino a metà del 2021. Abbiamo cercato di fare chiarezza con Chris Foster, trader di lunga esperienza, che nel marzo scorso era stato tra i meno catastrofisti sull’andamento dei mercati, ma allo stesso tempo molto poco ottimista sulla capacità dei governi di affrontare la crisi dopo l’emergenza iniziale. Anche stavolta partiamo dai mercati per arrivare alla politica o meglio ai poteri che la governano.
Foster, dopo i recenti ribassi i mercati sembrano agitati. Anche stavolta sdrammatizza?
Ad aprile le valutazioni erano basse, oggi sono altissime, ma in un contesto comunque favorevole per i mercati azionari. A parte gli ultimi giorni che finalmente segnalano una crescente attenzione per le valutazioni e per l’ingiustificata euforia di agosto, i mercati finora hanno risposto in modo abbastanza logico e razionale agli input lanciati dai governi e dalle banche centrali tra marzo e giugno.
Ed era un messaggio chiaro?
Direi proprio di sì. Pensiamo alla Bce e alla Fed. Potremmo sintetizzare così: non ci sarà di fatto limite di quantità agli interventi diretti sul mercato dei titoli di Stato, dei corporate bonds e dell’accesso alla liquidità da parte delle banche. In più la spesa pubblica governativa sarà usata per compensare il crollo dei consumi e degli investimenti aziendali. Un intervento pubblico mai visto prima. E questa volta anche la Bce è potuta intervenire in modo simile alla Fed, con l’appoggio esplicito del Governo tedesco.
Ma la risposta dei mercati è stata incomprensibile. Cosa spiega un rally delle azioni intorno al 50% tra marzo e agosto in un contesto economico così devastato?
La Fed e la Bce ormai guardano più le borse dell’inflazione. Rispondono in modo molto diretto agli shock azionari che possono trasmettersi al mercato dei bonds e al credito in generale. Il messaggio, lo ripeto, è stato chiaro: “Faremo di tutto per evitare un altro mese di marzo” (dove molti indici hanno perso più del 35%, ndr). Quindi, come sempre, i catastrofisti di professione hanno pensato di essere più furbi del mercato e oggi dicono che è tutto irrazionale solo per non avere ascoltato il messaggio a chiare lettere dei policy makers, soprattutto Fed e Bce.
E com’è stato recepito questo messaggio dagli investitori meno ideologicamente pessimisti?
Se si immagina una distribuzione di frequenza simil-gaussiana che rappresenta i possibili ritorni del mercato azionario e la banca centrale dice “il worst case scenario/la coda estrema di sinistra non fa parte degli scenari futuri”, allora i ritorni attesi fanno uno “shift”, un salto a destra, e diventano immediatamente più attraenti e soprattutto più probabili. Anche in un contesto di calo dei ricavi e aumento dell’incertezza economica.
In termini più semplici?
Se vai al casinò e sai che puoi raddoppiare il capitale, ma al massimo perdi il 20%… beh, è una buona alternativa a lasciare il cash sul conto corrente a zero o in negativo! Il tema delle valutazioni eccessive – ma ampiamente accettate, si direbbe guardando dove sono arrivati gli indici di borsa – va letto non solo nel contesto dei tassi a zero, ma anche nel contesto dell’esempio banale del casinò. Abbiamo visto situazioni simili anche nel real estate negli anni Duemila. La differenza è che la bolla tecnologica del 2000 e quella del subprime real estate cresciuta nei 6-7 anni successivi vedevano coinvolti titoli e settori sganciati da ogni logica di rischio-ritorno. Oggi nomi come Amazon, Microsoft o Facebook sono le più mostruose macchine da soldi mai viste prima e fino a che gli investitori inseguono i “big winners” (di oggi e di domani) non si può parlare di bolla che esploderà come nel 2000. Anzi, se mi permette un esempio: l’e-commerce in America rappresenta ancora solo il 19% delle totale delle vendite al dettaglio…. dov’è la bolla che esploderà: nel prezzo di Amazon o in tutto il resto del settore retail?
Spostiamoci sul lato politico. I governi non hanno più soglie di spesa pubblica e le banche centrali stampano. C’è un limite che si raggiungerà?
È un punto chiave da approfondire con più tempo. Molto complesso perché il passato non ci aiuta a capire cosa può succedere nei prossimi anni. Direi che i Governi al potere, di ogni colore e questa volta con anche Bruxelles in prima linea come “organo di governo” (come Commissione e come Consiglio), si sono trovati in poche settimane a prendere decisioni forti e fare delle scelte pesanti e non certo su una base di unanimità. Pensiamo al Recovery Fund.
Esplicitiamole, per favore, nel caso dell’Europa.
Coordinati dai due Paesi leader, Germania e Francia, hanno dovuto scegliere tra abbandonare l’esito incerto della crisi da coronavirus nelle mani di euroscettici e quindi di derive politiche non “benvenute”, un crollo del potere dell’establishment come collante tra la parte influente della società e le organizzazioni internazionali e sovranazionali e una possibile crisi sociale con rischi da guerra civile…
Oppure?
In alternativa, intervenire massicciamente e sfruttare la crisi sanitaria per riprendere il controllo dell’economia e limitare il downside estremo sul lato sociale… e ovviamente elettorale. Solo una pandemia o un disastro naturale colossale potevano spingere Commissione, Consiglio e Bce a concordare e fare quello che è stato deciso!
Riassumendo, il tema dei deficit eccessivi è scomparso e, anzi, si centralizza una parte crescente della spesa pubblica su Bruxelles.
In un certo senso sì. Quando il blocco di potere franco-tedesco più gran parte del deep state di Bruxelles si sente minacciato alla radice, internamente ed esternamente, diventa più conveniente dimenticare i peccati di spesa dell’Italia. E per puro caso, i tre grandi Paesi con problemi strutturali di crescita e spesa – Francia, Italia e Spagna – sono governati “dal lato giusto”. Quindi Bruxelles e Francoforte hanno deciso di finanziare la protezione dello status quo. Ma tutto ha un prezzo…
In che senso?
Un prezzo di tipo democratico, oltre al tema dell’efficienza. Mi permette una metafora ambiziosa vicina a concetti a me più noti? Lasciare che il “mercato” (cioè il voto popolare e il malcontento diffuso) giudichi liberamente le disastrose esperienze di governo francese, spagnolo e italiano è impensabile per l’élite nazionale e sovranazionale, perché sarebbe la prima vittima. Meglio finanziare i poteri che sono al governo e che si promettono aiuto reciproco.
Finanziare, ha detto?
Certo, innanzitutto permettendo che la Bce assorba lo stress di mercato ed eviti una crisi del debito pubblico in Europa. E poi la decisione di accettare gli eurobonds, che è parola vietata in Germania e Olanda, ma di questo si tratta. Si è fatto un primo passo verso la mutualizzazione del debito, una fetta di quello nuovo, non quello passato, e in questo modo sono state annichilite le visioni estreme euroscettiche. È solo l’inizio di una nuova fase della politica europea.
Lei come la definirebbe? C’è molto entusiasmo intorno alle svolte di politica economica di Bruxelles…
È forse il tema geopolitico più eccitante dal punto di vista della diversità di opinioni. La mia è questa: grazie al Covid stiamo raggiungendo il picco storico dell’integrazione europea: la Bce che “fa come la Fed” e gli “eurobonds” (chiamiamo così impropriamente per questa volta il funding del Recovery Fund) sono passaggi impensabili appena sei mesi fa. Al tempo stesso, tocchiamo il fondo come mai in trent’anni, da Maastricht (1992) in poi, dell’applicazione dei principi stabiliti per il funzionamento del single market (mercato unico, ndr). Che in fondo era la base teorica per supportare e amplificare anche i vantaggi di una “single currency zone”.
Quali principi del mercato unico sarebbero traditi o revocati?
Molti. Abbiamo visto in poche settimane la sistematica e arbitraria violazione dei pilastri di Schengen a uso e consumo di politiche di consenso nazionale, con frontiere chiuse alle persone e addirittura merci bloccate lungo certi confini; di tutte le regole sugli aiuti di Stato, con l’utilizzo della moral suasion governativa per indirizzare le decisioni strategiche di grandi imprese paneuropee; la protezione di asset nazionali a fronte delle possibili minacce di altri partners europei, l’indirizzo della spesa pubblica aggressivamente orientata verso società domestiche impegnate a proteggere l’occupazione nazionale… e sono certo che si scopriranno nefandezze ben peggiori in futuro ai danni delle economie più deboli e soprattutto della mobilità economica (penso alle piccole imprese) e sociale (individui).
In concreto cosa sta succedendo a Parigi, Berlino, Roma, Madrid…?
Penso che i governi dei grandi Paesi europei stiano provando una grande eccitazione a riprendere il controllo di una crescente parte dell’economia. È come una droga per i politici, soprattutto in governi sull’orlo di una crisi. Cioè quasi tutti in Europa, a guardare bene.
E se fossero politiche temporanee?
Dubito che l’overdose di statalismo e dirigismo che i principali governi europei stanno sperimentando possa scemare non appena l’emergenza Covid rientrerà. Governi deboli come quelli dei 4 o 5 Paesi più grandi hanno bisogno disperato di statalismo per mantenere e sussidiare il consenso. Il costo è crescente e sembra accelerare in questi anni.
Si spieghi meglio.
Ci vorranno forse dieci anni per tornare indietro da questi sei mesi. Chi controlla il potere nazionale (e magari influenza anche quello comunitario) sta imponendo controlli diretti e indiretti su una forte fetta delle economie nazionali attraverso nomine, leggi, regolamenti per l’allocazione di fondi. Vedo chiaramente l’implementazione di un approccio di moral suasion senza precedenti. Il modo migliore è centralizzare, regolamentare, nominare e poi, detto in modo poco elegante, ricattare per evitare “deviazioni” dalla via tracciata.
Dunque all’apice dell’integrazione europea, lei vede l’inizio della fine?
Non la fine, ma la subordinazione agli interessi nazionali di tre o quattro Stati del progetto dei trattati di Maastricht e Lisbona, cioè di rendere il single market efficiente, dinamico e soprattutto creatore di ricchezza diffusa dalla Spagna alla Finlandia, passando per l’Est Europa che si è via via aggregata. Se il picco dell’integrazione coincide con il picco del protezionismo e della concentrazione del potere… Ognuno per sé, Bce per tutti, diremmo in questi mesi!
(Federico Ferraù)