Lo scontro che contrappone, soprattutto in televisione e su internet, “pro-vax” e “no-vax”, con toni spesso da tifoseria da bar, ricorda quello che in un recente passato divideva gli “europeisti senza se e senza ma” dagli “euroscettici”, quest’ultimi accomunati tutti nelle accuse di populismo, nazionalismo e sovranismo. Oggi le posizioni critiche su Unione Europea ed euro sembrano meno soggette ad ostracismo, forse per la pandemia che ha messo in risalto la debolezza di una Unione fragile anche nel gestire la salute.
L’intervista del Sussidiario al professor Campiglio ripropone con chiarezza i limiti dell’attuale costruzione europea, a partire dalle insensate politiche di austerità imposte dalle tecnoburocrazie di Bruxelles. Politiche che hanno favorito alcuni Paesi a danno di altri, aumentando le diseguaglianze invece di favorire quella convergenza che era negli obiettivi iniziali. Un’analisi che trova riscontro in una intervista del 2012 al professor Giuseppe Guarino, deceduto nel 2020, che poneva sotto accusa in particolare l’introduzione dell’euro. In effetti, se da un lato si può parlare di mercato comune dei 27 Stati dell’Ue, non altrettanto si può dire dell’unione monetaria, in quanto otto Stati hanno mantenuto la loro moneta nazionale.
Fuori dell’Eurozona vi sono Paesi dell’Europa Orientale entrati nell’Ue dopo l’introduzione della moneta unica: Bulgaria, Croazia, Repubblica Ceca, Polonia, Romania e Ungheria. Questi Paesi devono raggiungere i cosiddetti “criteri di convergenza”, sulla stabilità dei prezzi, dei tassi di conversione della moneta e sui bilanci pubblici. Più avanti nel processo di adesione sono Croazia e Bulgaria, seguite dalla Romania, mentre in Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca sembrano esservi maggiori resistenze. La Slovacchia, invece, fa parte dell’Eurozona dal 2009.
Ciò che sorprende è la resistenza all’euro di due Paesi nordici come Svezia e Danimarca. Stoccolma continua a rallentare il processo di adesione, non fissando alcuna data precisa per l’entrata nell’euro. È possibile che pesi ancora l’esito negativo del referendum consultivo del 2003, anche se ormai sono passati quasi vent’anni. La Danimarca possiede tutti i requisiti per entrare, ma ha esercitato il cosiddetto “opt-out”, cioè la rinuncia ad aderire a una regola dell’Unione, in questo caso appunto l’euro. Dei Paesi scandinavi solo la Finlandia ha adottato l’euro, mentre la Norvegia non è neppure entrata nell’Unione, ma gode di speciali rapporti riguardanti, la sicurezza, la difesa, l’economia e il commercio. Forse ha qualche rilievo che la Norvegia sia il maggior produttore europeo di petrolio dopo la Russia, o forse nazionalismo e sovranismo non sono un’esclusiva di Polonia o Ungheria.
L’euro rimane divisivo anche all’interno della stessa Eurozona, fatto ammesso anche dal presidente della Banca centrale dei Paesi Bassi, uno dei più rigidi tra i “Paesi frugali”. Klaas Knot, in una conferenza del settembre 2020, ha francamente riconosciuto che l’euro non ha corretto le disparità tra Nord e Sud dell’Europa, sottolineando che i vantaggi, espressi in euro per famiglia, per l’Olanda sono stati circa il doppio che per l’Italia. Suona decisamente fantasiosa la famosa dichiarazione di Romano Prodi: “Con l’euro lavoreremo un giorno di meno guadagnando come se lavorassimo un giorno di più”.
Un punto su cui vi è un generale accordo è che non ha senso una moneta comune senza un’unità politica: quella economica non basta, tanto più se imperfetta. Tuttavia, pensare a un’unità politica all’interno dell’Ue appare francamente problematico e riappare qui e là l’idea di un euro a “doppia velocità”, l’impostazione originaria della Germania che avrebbe escluso l’Italia insieme ad altri Paesi mediterranei. All’epoca, Ciampi e Prodi fecero di tutto per entrare nell’Eurozona, accettando le condizioni imposte dai tedeschi, ma ora è possibile uscire dall’euro e con quali costi?
L’alternativa è cercare di risolvere i problemi dell’euro e l’unico modo sembra essere di cominciare a procedere, pur lentamente, verso una maggiore integrazione politica. Alla base c’è il ricupero delle impostazioni che diedero inizio all’avventura europea, riassumibili in un termine: solidarietà. Un concetto questo che sembra difficile da accettare, al di là delle dichiarazioni di principio, non solo dai politici ma anche dai cittadini europei, se non costretti da una crisi particolarmente grave. Tuttavia, è molto forte il rischio che in una simile evenienza tutto si sfaldi.
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