Mario Draghi, alla riunione informale dei ministri delle finanze dell’Ue, ha invitato l’Europa a cambiare marcia perché “negli ultimi anni si sono verificati molti cambiamenti profondi nell’ordine economico globale e questi cambiamenti hanno avuto una serie di conseguenze, una delle quali è chiara: in Europa si dovrà investire una quantità enorme di denaro in un tempo relativamente breve”. Draghi si è detto impaziente di “di discutere di ciò che i ministri delle Finanze pensano e stanno preparando su come finanziare queste esigenze di investimento”. L’ex primo ministro italiano e Governatore della Bce ha quantificato sia l’importo degli investimenti, sia i settori: “I bisogni delle transizioni verde e digitale sono stimati in almeno 500 miliardi di euro l’anno, a cui vanno aggiunti la difesa, gli investimenti produttivi”.



È difficile calare nella realtà questo enorme programma di investimenti pubblici. A prima vista nessuno potrebbe dirsi contrario a un cambio di marcia necessario per far rinascere l’economia europea che, in realtà, fino a prima della guerra in Ucraina, aveva un’industria di primo livello anche sullo scenario globale. Ci sono però almeno due questioni che meritano di essere sollevate.



La prima è chi decide su quali settori investire e come e la seconda chi paga il conto. Partire dal presupposto che questi investimenti siano “gratis” perché finanziati, per esempio, da eurobond supportati dalla Banca centrale europea non aiuta a inquadrare la vicenda. Investire centinaia di miliardi all’anno di soldi pubblici nella transizione verde, creando dal nulla un nuovo sistema energetico, non è “gratis” nemmeno se i soldi venissero stampati dalla Bce nottetempo. Le risorse con cui si costruiscono pale eoliche o carri armati e la forza lavoro sono un “dato” in un arco temporale di medio lungo periodo. Basti pensare che per mettere in produzione una miniera di rame non servono meno di cinque anni. Lo stesso si può dire della “forza lavoro”. Convogliare una tale massa di risorse su alcuni settori implica l’esplosione dei prezzi dei settori che non godono di “canali privilegiati”. Per attirare i risparmi che oggi dormono sui conti correnti bisogna offrire dei rendimenti e questo implica tassi più alti. Il risultato è che i prezzi della pala eolica o dei carri armati rimangono contenuti o addirittura scendono, mentre quello dei frigoriferi, in proporzione ai salari, invece aumenta.



La seconda questione è chi decide dove spendere e come. A prima vista, assumendo una “gratuità” che non c’è, non servirebbe andare troppo per il sottile. Perché bisognerebbe preoccuparsi di investimenti che rilanciano l’economia? Meglio che niente. La prospettiva cambia se si assume, com’è inevitabile, che spostare centinaia di miliardi all’anno su pochi, selezionati, settori influisce sui prezzi di tutto il resto. In questo caso è più facile chiedersi chi e perché abbia questo potere e da dove arrivi la “legittimità democratica”. Il rischio in questo caso è che il pubblico si trovi “improvvisamente” in una situazione che non era stata né prevista. né spiegata sulla base, forse, di ragioni ritenute in qualche modo indiscutibili e su obiettivi su cui non si può discutere perché inevitabili.

Nell’Unione europea ci sono 450 milioni di persone, 500 miliardi all’anno sono 1.100 euro a persona netti, donne, vecchi e bambini inclusi; tutti gli anni. Per avere poi, sicuramente nel medio periodo, più inflazione e quindi minori salari reali. Forse così è più chiaro.

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