Nello stesso giorno in cui è stato reso noto il dato sull’inflazione di maggio (stabile rispetto ad aprile e in aumento del 3,3% in termini tendenziali), la Federal Reserve ha deciso di lasciare ancora invariati i tassi di interesse (tra il 5,25% e il 5,5%) e ora prevede di effettuare un solo taglio entro la fine dell’anno. Nel frattempo in Europa non sono mancati scossoni sul mercato dei titoli di stato a seguito del risultato delle elezioni per il Parlamento Ue e delle sue conseguenze in Francia. Abbiamo chiesto un commento a Domenico Lombardi, economista, direttore del Policy Observatory della Luiss ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
L’inflazione negli Stati Uniti resta ancora sopra il 3%. Che conseguenze può avere per il resto del mondo? C’è il rischio che venga “esportata”?
La difficoltà di stabilizzare l’ultimo miglio dell’inflazione e accelerarne la convergenza verso il target di medio periodo sta spingendo la Fed a mantenere i tassi di intervento su livelli storicamente alti. Il risultato è, semmai, un rafforzamento del dollaro rispetto alle altre valute. Per mitigare il deprezzamento della propria valuta, alcune banche centrali – soprattutto in Asia – stanno intervenendo sui mercati dei cambi. L’intento non è solo di calmierare il potenziale inflazionistico derivante dal deprezzamento rispetto al dollaro, ma evitare che questo diventi un tema da campagna elettorale negli Stati Uniti, spingendo il vincitore delle prossime elezioni presidenziali americane a politiche commerciali restrittive, più di quanto lo siano diventate sino a oggi.
La Fed prevede di effettuare un solo taglio dei tassi da qui a fine anno. Sarà a settembre?
In seguito alla diffusione nei giorni scorsi dei dati sull’inflazione nel mese di maggio, invariata rispetto al mese precedente, si sono rafforzate le aspettative di mercato circa un taglio dei tassi nella riunione del prossimo settembre. Studiando le previsioni formulate dai membri del Fmoc della Fed, l’organo che decide sui tassi, emerge che la maggioranza si aspetti uno o due tagli al più entro la fine dell’anno. Tuttavia, credo che il Fmoc voglia vedere, oltre allo scorso mese di maggio, dei dati incoraggianti sull’inflazione anche per il resto dell’estate. Solo in questo caso procederà col taglio a settembre. Occorre considerare che l’attesa riguardo il primo taglio ha assunto la valenza segnaletica di un sostanziale e progressivo allentamento della postura di politica monetaria. In altre parole, in assenza di tali aspettative, la Fed avrebbe minori esitazioni a effettuare un aggiustamento tecnico con la limatura dei tassi di intervento. Quello che il Presidente Powell intende evitare è che un tale aggiustamento scateni aspettative di un cambio di postura della politica monetaria, cosa che rende la Fed particolarmente prudente in questa fase.
Il risultato delle elezioni europee, soprattutto per le conseguenze che ha avuto in Francia, potrebbe portare gli investitori a prediligere asset denominati in dollari rispetto a quelli in euro?
I mercati non hanno ideologie e privilegiano semplicemente chi assicura la solvibilità dei loro crediti. Se i Governi o le forze politiche che ambiscono a tale ruolo cessassero di rassicurarli con convinzione e credibilità, a quel punto i mercati non esiterebbero a rigirarsi contro. Nel caso specifico della Francia, la decisione del Presidente Macron di scogliere il Parlamento senza nessuna apparente strategia se non quella dell’azzardo politico e della demonizzazione del maggior partito francese sta creando un caos politico che lascia perplessi i mercati così come le altre cancellerie europee.
Fermo restando il principio di indipendenza della Bce nelle sue decisioni, pensa che quello che sta avvenendo e potrebbe accadere in Francia, con quel che ne consegue per i rendimenti dei titoli di stato (non solo francesi), potrebbe portare l’Eurotower a prendere provvedimenti particolari?
Credo sia ancora prematuro. Se mai accadesse, Macron – che è già in grave difficoltà con il suo elettorato da cui è stato pesantemente sconfitto lo scorso fine settimana – batterebbe un record cui nessun leader europeo ha mai aspirato.
In una recente intervista, Christine Lagarde ha spiegato che il Tpi potrebbe essere utilizzato anche da un Paese sottoposto a procedura per deficit eccessivo. Crede che questo strumento basterebbe a fronteggiare possibili turbolenze per lo spread di Paesi come l’Italia o la Francia?
L’efficacia del Tpi non è stata mai testata semplicemente perché il programma non è stato attivato dalla sua introduzione nel 2022. In ogni caso, il segnale che la Bce intenda credibilmente comprimere lo spread sarebbe fondamentale, anche senza la formale attivazione del Tpi. Del resto, questo accadde con l’Omt quando l’allora presidente della Bce Mario Draghi ne preannunciò la creazione – e la sua credibile attivazione – nel 2012. Credo che la Presidente Lagarde abbia voluto veicolare qualche primo segnale al riguardo. Le conseguenze dell’attivazione del Tpi sarebbero, tuttavia, devastanti sul piano politico per il Paese che ne beneficiasse – di fatto implicherebbe un commissariamento del Governo in carica.
Alla luce di questo quadro complessivo, come vede la situazione già non facile dell’Italia sul fronte dei conti pubblici e della crescita?
Il quadro si va inevitabilmente complicando, ma proprio per questo occorre mantenere una postura iper prudenziale nella politica fiscale, privilegiando riforme dal lato della crescita con limitato impatto fiscale.
(Lorenzo Torrisi)
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