Sulla riforma del Patto di stabilità l’Italia rischia di restare schiacciata tra Francia e Germania. È una delle nubi d’autunno che già s’addensano all’orizzonte, le altre non meno oscure minacciano l’andamento dell’economia nei prossimi mesi: il calo netto delle esportazioni, le conseguenze della stretta monetaria, un’inflazione che scende troppo lentamente. È ancora una volta la Germania a creare i problemi maggiori, anche perché la stretta integrazione tra le due economie si accompagna a una netta divisione tra i Governi di Roma e Berlino.



Venerdì in Lussemburgo il ministro delle Finanze Christian Lindner, liberale, ha riproposto un netto percorso di riduzione del debito pubblico con una percentuale ben definita: meno un per cento del Pil l’anno Per i paesi che hanno un deficit superiore al 3% e un debito che sfora il 60%. E ha ironizzato: “Non è un obiettivo troppo ambizioso, un Paese con un debito oltre il 100% impiegherebbe 40 anni, nell’arco della mia vita io non vedrò raggiungere l’obiettivo”. Il Governo tedesco ha raccolto uno schieramento di undici Paesi i quali hanno sottoscritto una lettera aperta: con la Germania ci sono l’Austria, la Bulgaria, Repubblica Ceca, la Croazia, i tre paesi baltici, la Danimarca, la Slovenia e il Lussemburgo. Ma la stessa linea è sostenuta anche da Irlanda e Slovacchia. Insomma, tredici su ventisette, non tutti intransigenti come i tedeschi, ma comunque in disaccordo con la proposta della Commissione, considerata troppo blanda.



La Francia, sostenuta dalla Spagna, non vuole cifre, né rigidità, in sostanza gli obiettivi di riduzione vanno negoziati anno dopo anno tra Bruxelles e i singoli Paesi. L’Italia la pensa allo stesso modo in più sottolinea la necessità di considerare a parte gli investimenti, in particolare quelli per la transizione energetica, digitale e ambientale. Polonia e Lituania vorrebbero aggiungere alla lista anche le spese per la difesa gonfiate dalla guerra in Ucraina. Il negoziato è solo alle battute iniziali, c’è tempo fino a dicembre e come d’abitudine nei rituali europei si attenderà l’ultimo minuto per trovare un compromesso. La trattativa sarà condotta ancora una volta da Germania e Francia. Non sappiamo come finirà, tuttavia c’è il rischio che il “passo a due” non coincida con le esigenze dell’Italia la quale può dire la sua a una condizione: presentandosi come un Paese che cresce più degli altri. Sta accadendo da almeno un anno, ma non è detto che continui ancora.



Il negoziato è tutto politico e s’intreccia a sua volta con le dinamiche interne all’Unione. Fra un anno si andrà al voto e le “famiglie politiche” europee si stanno posizionando e riposizionando. Da una parte popolari e socialisti cercheranno di confermare la loro leadership a scapito soprattutto delle forze sovraniste che sono in crescita un po’ ovunque. L’ala destra dei popolari e una parte dei conservatori, soprattutto Giorgia Meloni, stanno provando a sperimentare una nuova alleanza volta a rimescolare le carte, spezzando l’asse finora egemone. Sono manovre preparatorie che prenderanno corpo dopo le elezioni, allora, numeri alla mano, si vedrà dove pende l’Unione. Ma già oggi sono in grado d’influenzare i rapporti interni, anche sul nuovo Patto di stabilità.

L’Italia ha un’arma fondamentale ed è la crescita, solo così può dimostrare di non essere affatto un vaso di coccio. Certo il debito è eccessivo, l’anno prossimo sarà il più alto in assoluto in Europa perché quello greco sta scendendo, tuttavia la solidità del sistema produttivo e una dinamica del prodotto lordo superiore alla media europea garantiscono la sostenibilità della spesa e la capacità di stare sul mercato. Non sarà facile confermare questo andamento. E la Germania di nuovo ci crea problemi. Le esportazioni ad aprile, ultimo dato disponibile, sono scese del 5,4%, in gran parte per la recessione tedesca non compensata dagli altri mercati. Londra è in picchiata (-13,7%), i Paesi extraeuropei scendono in media del 4,9%, la stessa Cina non si sta riprendendo come previsto. Dunque, la locomotiva che ha tirato il Pil sbuffa e rischia di fermarsi.

Il prodotto lordo cresce ancora e la stessa Banca d’Italia ha corretto al rialzo le sue stime per quest’anno: +1,3% oltre il doppio rispetto al +0,6% previsto in precedenza. Ma la seconda parte dell’anno vedrà presentarsi “rischi non trascurabili”, scrive la banca centrale italiana. E aggiunge: “Il prodotto potrebbe essere frenato da un più forte irrigidimento delle condizioni di offerta del credito”, mentre “la restrizione monetaria in atto nelle economie più avanzate”, il che vuol dire “meno domanda di beni e servizi italiani”. L’estate sarà sostenuta dal nuovo boom del turismo, in autunno invece si vedrà la stretta che abbassa le previsioni per il prossimo anno. Nessun pericolo di crisi, sia chiaro, i gufi possono tornare nei loro nidi. Ma diventa davvero cruciale aprire i cantieri del Pnrr per compensare così il rallentamento della congiuntura.

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