“Il suo metodo è la creazione di un caos produttivo”, dice da Parigi Francesco De Remigis, collaboratore del Giornale. Macron si è accorto che “la Germania, nella manovre di von der Leyen, ha assunto un peso maggiore del previsto”. Per questo il presidente francese non può più sbagliare mossa. Dopo lo stop all’allargamento, pensa al nuovo commissario. Sarà Barnier? Macron potrebbe essere condizionato dalle pressioni politiche interne. C’è posto anche per la cronaca di corte: un eccesso di opportunismo mette nei guai Sandro Gozi, consulente prodian-renziano a servizio del re di Francia.
Il no all’allargamento europeo da parte di Macron è stato una risposta alla bocciatura di Sylvie Goulard?
La Francia ha un interesse strategico pluridecennale non solo nelle questioni istituzionali europee, ma nella supervisione della politica nei paesi emergenti. Dietro il suo “no” mi pare che ci siano invece ragioni di politica interna: eventuali allargamenti avrebbero influenza sui flussi migratori, e Macron potrebbe pagare dazio a Marine Le Pen nei dibattiti anche solo ventilando l’ipotesi.
In questa fase, per l’Eliseo l’allargamento rappresenta una messa in discussione prematura sugli equilibri futuri?
Pone certamente un interrogativo. D’altronde occorre ancora trovare quelli attuali.
E il presidente francese vuol essere il primo a determinarli.
Vuol far valere la sua influenza politica fino in fondo, il suo “no” è anche un segnale di insofferenza rispetto alla dialettica interna alle istituzioni dell’Ue in questa fase. Con la Brexit e altri tre anni di incertezza, meglio non aprire nuove trattative al buio.
Che cosa non piace all’Eliseo?
La Germania, nella manovre di von der Leyen, ha assunto un peso maggiore di quanto si aspettasse lo stesso Macron. Non solo a livello politico generale. Anche nel gioco delle poltrone della futura Commissione, la Germania sta tendando di rafforzare la centralità di Berlino. Ma scherza col fuoco dei numeri.
Macron ha parlato di gioco di equilibri, vendette e “bassezze”. Non è stato un errore puntare su Goulard?
Volere un nome come Goulard, discusso anche in patria, impresentabile, e contarci fino alla fine è stato evidentemente di una sfrontatezza enorme. Però di fronte alla sconfitta Macron non è rimasto a guardare. E ha usato l’ultimo Consiglio europeo per rispondere.
In modo efficace?
Quanto efficace e in che misura, lo vedremo. Intanto ha preso tempo per un nuovo candidato e giocato un’altra carta, la creazione di un’autorità per la trasparenza nella vita pubblica.
In Italia si chiamerebbe autorità anticorruzione. Che cos’ha in mente?
In Francia un istituto simile esiste già, così Macron ha voluto proiettarlo a livello europeo. Ha detto che il “no” alla candidata francese, basato sulle irregolarità amministrative che riguardano l’ex assistente parlamentare e sulle attività della Goulard correlate al think tank americano, rivela un malfunzionamento dell’organismo europeo.
E quindi la contromossa di Macron è stata efficace?
Direi di sì, perché ha messo al muro una parte dei falchi: secondo uno studio di Transparency International, il 30% dei deputati eletti a maggio ha ammesso di avere attività accessorie o correlate al mandato europeo.
In altre parole un conflitto di interessi.
Sì. Davanti a questo Macron ha fatto una mossa che gli altri non hanno accolto a cuor leggero. Il suo metodo è la creazione di un caos produttivo.
Si parla di Michel Barnier. Perché proprio lui?
La delega al mercato interno è un portafoglio ricchissimo: spazia dalla cultura digitale all’industria e allo spazio. Consentirà a Parigi di assumere ancor più peso, e un esperto negoziatore come Barnier è una figura spendibile. È un “Highlander” della politica gollista, capace di giocare tra l’umile e il paziente, l’opposto di Macron. E in En Marche! si sono spese per lui parole importanti.
Quindi Macron intende investire nell’attuale assetto, non farlo saltare. Insomma si fida di Ursula von der Leyen.
Questo potremo dirlo solo alla fine. Per adesso intende stare ai fatti, e ottenere il commissario è centrale per chiudere questa fase. Diversamente, è difficile aprirne qualunque altra.
La tua previsione?
È prematuro farne una. Barnier non è esattamente il profilo che risponde ai requisiti di von der Leyen, a cominciare dall’età politica e dalla parità di genere. È un nome gradito ma pesante. Come quando in azienda tutti i superiori ti dicono che sei bravo, ma alla fine premiano un altro. E poi la mossa di Macron all’ultimo Consiglio, proporre l’Autorità per la trasparenza per sparigliare rispetto a una sterile discussione sulle nomine, è stata una manovra tatticamente intelligente, ma rischia di essere solo uno slogan, e quindi un boomerang.
Secondo te Macron potrebbe arrivare anche a sfiduciare la von der Leyen? Il Ppe è diviso tra i fautori della attuale presidente e quelli dello spitzenkandidat, Macron invece non ha rivali…
I rivali ce li ha anzitutto in casa. Nelle ultime ore, mezza Francia sta sponsorizzando Barnier, gradito anche ai gollisti di En Marche!, a partire dal premier. Macron non sa se tentare un terzo nome. Si parla di Thierry Breton, favorito dall’Eliseo per la casella di commissario. Ma sarebbe come tornare a sfidare la stampa francese, che ha demolito la Goulard in casa prima che fosse fatta fuori dagli eurodeputati. Pure Breton non sembra affatto immune da conflitti d’interesse.
A proposito, qual è il gradimento interno di Macron?
Intorno al 39%. Negli ultimi cinque mesi, cioè da dopo la crisi dei gilet gialli, è cresciuto costantemente di alcuni decimi di punto al mese.
Il fenomeno dei gilet jaunes può considerarsi esaurito, assorbito?
Stando ai sondaggi, sì. Un po’ meno se guardiamo alle tensioni sociali: allevatori e agricoltori sono scesi in piazza proprio in questi giorni, per chiedere quelle maggiori tutele che Macron ha promesso ma restano al momento inattuate. Gli agricoltori non hanno il gilet, ma dicono bene lo scontento dell’altra Francia, quella che non è Parigi.
Dove sta la maggiore incertezza?
Agricoltori arrabbiati e delusi della politica non si sa per chi voteranno, a cominciare dalle comunali del marzo 2020, un test importante per Macron e Le Pen. Questa disaffezione crescente per la politica e le istituzioni potrebbe anche alimentare l’astensione e con essa dare corpo a ulteriore malcontento.
Cosa insegna il caso Gozi quanto al perseguimento dell’interesse “europeo”?
Mah, Gozi lo trovo geniale. È passato da Prodi a Renzi senza fare una piega. Poi da Macron al gabinetto del premier francese Edouard Philippe, a quanto pare in esclusiva. Nel mentre faceva da consulente esterno a quello maltese. Parigi gli ha appena presentato il conto del suo europeismo multitasking costringendolo alle dimissioni.
E adesso?
Il premier francese vuole andare fino in fondo al transnazionalismo di Gozi. Che fa rima, nella migliore delle ipotesi, con opportunismo. Gozi dovrà giustificare rapidamente l’adempimento dei suoi obblighi all’Alta autorità per la trasparenza della vita pubblica francese, obblighi su cui il premier è particolarmente vigile. L’Ue, lo abbiamo visto, molto meno.
(Federico Ferraù)