In un recente articolo sul Sussidiario cercavo di analizzare i problemi che affliggono l’euro, sulla base anche delle osservazioni del professor Campiglio, che nella sua intervista metteva in rilievo le difficoltà derivanti dall’assenza di unità politica e i danni delle politiche di austerità imposte da Bruxelles. E concludeva l’intervista con un riferimento al motto latino “divide et impera” e al rischio di continuare ad avere “Paesi più uguali degli altri”.
Pochi giorni dopo, l’argomento veniva ripreso da Bloomberg con un articolo di Richard Cookson, che in modo molto netto descriveva una situazione “in fase terminale”. Come recita l’incipit dell’articolo: “Nel bene o nel male, il futuro dell’euro verrà probabilmente deciso quest’anno”. Il detonatore è individuato in un’inflazione che si presenta tutt’altro che transitoria e che metterà pesantemente in discussione la politica monetaria della Bce. Anche per la pressione sempre più pesante dei Paesi “forti” contro gli interventi a favore dei Paesi “deboli” e, scrive Cookson, sotto questo aspetto la maggiore preoccupazione è l’Italia: “Sia per la sua dimensione (ha uno dei più grandi mercati di titoli governativi del mondo), sia per le dinamiche del suo debito”. E aggiunge: “È tale lo stato di inadeguatezza dei governi italiani che si sono succeduti che i politici non hanno fatto niente per riformare né il sistema finanziario, né molto altro”.
Dopo questo giudizio, purtroppo non campato in aria, Cookson passa a quelle che vede come soluzioni perché il “problema Italia” non faccia esplodere l’euro, e ne analizza tre. La prima, consequenziale alla situazione, è che l’Italia dichiari default, cioè fallimento, e dato che gran parte del debito è in mano italiana, basterebbe che il Governo imponesse tasse “adeguate” ai cittadini italiani. Tuttavia, l’Autore stesso ritiene questa soluzione problematica.
La seconda è data dall’uscita dall’euro, con il vantaggio per l’Italia di far pagare le spese ai Paesi creditori, come la Germania, attraverso il sistema europeo di pagamenti denominato Target 2. Una soluzione che, afferma Cookson, “farebbe sembrare la Brexit una battaglia da parco giochi.” Rimane quindi una sola soluzione, simile a quella indicata da Draghi e Macron: la mutualizzazione dei debiti governativi dell’eurozona in un’agenzia europea, tipo Mes. Una soluzione che vedrebbe la furiosa opposizione dei Paesi “frugali” e, probabilmente, anche di quelli dell’Est Europa.
Vale la pena di riportare per intero la conclusione dell’articolo. “Perché l’euro possa sopravvivere, è necessario un qualche compromesso. Il problema è che non riesco a vedere i Paesi creditori d’accordo fino a che i potenziali danni non siano sufficientemente gravi. E il potenziale danno, sospetto, comprende l’Italia che minaccia di lasciare l’euro”.
La conclusione sembrerebbe mettere in mano all’Italia una buona arma, anche se paradossalmente, a differenza della Brexit, nell’Italexit le trattative sarebbero sulle condizioni per rimanere, non per uscire. Tuttavia, vi è una quarta soluzione, non citata nell’articolo, ma che accompagna l’eurozona dalla sua costituzione: l’euro a due velocità. Un’ipotesi ricorrente e già analizzata in un articolo di un paio di anni fa, quando certi atteggiamenti della Germania facevano pensare a una simile possibilità. È molto interessante che una simile ipotesi fosse già esplicitata in un’intervista del 2011 del Sussidiario al professor Joachim Starbatty, professore emerito di economia politica all’Università di Tubinga. Per Starbatty, senza questa decisione di separazione, l’euro sarebbe stato condannato a una lenta erosione, e il fallimento degli Stati deboli solo rimandato.
Infine, è da notare che, secondo il professore, l’entrata dell’Italia nell’euro aveva portato a una consistente riduzione della quota italiana nel commercio internazionale. Affermazione che andrebbe verificata sui dati attuali, ma che rende, insieme alle previsioni di Bloomberg, il dibattito sull’euro tutt’altro che accademico. Forse, anche questo è uno dei motivi del rientro di Draghi sulla scena politica italiana.
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