L’attenzione mediatica in questi giorni è rivolta alle trattative in corso per i “top jobs” Ue, che potrebbero portare a un risultato tangibile già al Consiglio europeo in programma questa settimana. Tra non molto, però, si tornerà a parlare degli effetti della procedura d’infrazione per deficit eccessivo che è stata aperta nei confronti di due importanti Paesi membri: l’Italia, chiamata a ridurre il disavanzo di almeno 10 miliardi l’anno, e la Francia, che presto potrebbe essere governata da un esponente del Rassemblement National. Riguardo la decisione presa dalla Commissione europea mercoledì scorso, Gustavo Piga, professore di economia politica all’Università di Roma Tor Vergata, non ha dubbi: “In prima battuta la valuto ipocrita, perché arrivata subito dopo le elezioni europee. È vero che si trattava di una decisione attesa, ma è evidente che siamo in un’Europa che ha paura di confrontarsi con i cittadini e i loro problemi. Non credo sia un caso che il tema delle procedure d’infrazione non sia stato discusso durante la campagna elettorale”.
Perché, a suo avviso, non se n’è parlato?
Perché Bruxelles non voleva rafforzare ulteriormente i populismi: una paura che conferma come ci sia un problema a monte nella costruzione europea. Penso non sia mai stato più chiaro di oggi come la combinazione tra politiche economiche sbagliate, austere, e riforme di basso livello abbia portato l’Europa a un quasi punto di non ritorno. Dobbiamo prendere atto che l’avvio delle nuove procedure d’infrazione per disavanzi eccessivi avviene nel momento in cui è più forte la resistenza dell’elettorato alle politiche fiscali a esse sottese. Basta guardare alla pubblicazione sul Financial Times, la scorsa settimana, di un sondaggio condotto in Francia che chiedeva ai cittadini quale fosse il partito capace di meglio interpretare le politiche economiche più corrette: la maggioranza ha risposto Rassemblement National. Il che conferma che al cuore della problematica dei crescenti populismi vi sono le politiche economiche sbagliate perseguite in questi anni.
Sono corrette allora le politiche proposte dal Rassemblement National?
Si tratta di politiche iper protezionistiche, addirittura per gli appalti si prevede la tutela solo per le imprese francesi, non per quelle europee. Sappiamo che il protezionismo può far implodere l’Europa perché rischia di renderla complessivamente più povera: infatti, l’apertura delle frontiere aumenta il benessere collettivo. Il problema è che in questi anni di globalizzazione questa “torta”, cresciuta grazie al commercio internazionale, è stata distribuita a un numero sempre minore di persone. Questo perché è stato bloccato quel meccanismo di redistribuzione della ricchezza che si chiama politica fiscale.
Si tratta di un problema globale, non certo esclusivamente europeo…
È vero, ma in questo momento l’Europa è politicamente più debole e quindi più pronta a sfibrarsi, a dividersi. L’assenza di una politica fiscale che pensi ai più deboli e lo smantellamento dello Stato sociale che avviene per il tramite dell’austerità sono la precondizione per un’implosione interna. La vittoria del Rassemblement National non sarà che l’inizio di un movimento cataclismatico che avrà delle conseguenze enormi sulla capacità di vivere ancora insieme in un’Unione come l’avevano pensata i suoi Padri fondatori. Tutto questo per colpa di una politica fiscale miope, tecnocratica, elitista, che nel caso italiano appare plasticamente.
Ci spieghi meglio.
Se andiamo a vedere cosa prevedono le politiche europee per l’Italia dobbiamo prendere atto che l’aggiustamento fiscale per il periodo 2025-28 sarà ancora più recessivo di quello del quadriennio 2011-14. Tutto questo in un momento in cui, rispetto ad allora, è ancora più necessaria la presenza dello Stato nell’economia per perseguire obiettivi come la sostenibilità ambientale, la difesa, la digitalizzazione, ecc. Ovviamente occorre che sia uno Stato capace di spendere bene.
Il suo giudizio è molto severo. Eppure, il commissario Gentiloni ancora la scorsa settimana ha ripetuto che non c’è un ritorno all’austerità.
Le parole di Gentiloni si scontrano col fatto che l’Italia dovrà effettuare forti correzioni di bilancio che si può anche pensare siano poco credibili e verranno magari in parte diluite. In ogni caso, sotto questa costruzione recessiva né il nostro Paese, né l’Europa potranno attuare quelle politiche di cui hanno un immenso bisogno per non implodere. Siamo in un momento di grandissima tensione, in cui se c’è qualcuno che può indirizzarci verso politiche fiscali espansive, ma di qualità, è ora che si faccia avanti. Penso, tra l’altro, che dalle elezioni europee sia arrivato anche un messaggio molto allarmante.
Quale?
Laddove non si rafforzano i populismi, la gente non va più a votare. È drammatico in questo senso quanto successo nel Sud Italia: la forte astensione sembra indicare che la politica non è ritenuta utile, che occorre affidarsi a qualcos’altro per risolvere i propri problemi. Questo perché da Monti in poi si sono succeduti ben otto Governi che hanno presentato all’Europa sempre e costantemente, identicamente, gli stessi Documenti di economia e finanza. Nel nostro Paese chi vince le elezioni promette di cambiare registro, ma poi una volta al Governo fa esattamente il contrario: è chiaro che a quel punto per la gente votare o meno è indifferente. Certo, ci sono anche responsabilità interne mostruose, perché quando i soldi ci sono, vedasi il caso del Pnrr, non riusciamo a spenderli.
Nel caso dovesse nascere un Governo a guida del Rassemblement National, bisognerà aspettarsi una Commissione europea più rigida nei confronti della Francia?
Ci sarà sicuramente uno scontro crescente: il Governo di Parigi chiederà margini di manovra che la Commissione non si sentirà di approvare. La questione, a quel punto, finirà sul tavolo del Consiglio europeo dove, però, a rappresentare la Francia ci sarà Macron. Il che porterà a una situazione che renderà ancora più complicata la sopravvivenza europea. Io ritengo che il problema non riguardi la Commissione, fatta di piccoli burocrati, ma la politica che non ha mai avuto il coraggio di indirizzare la Commissione nella giusta direzione.
Rischiamo una nuova crisi del debito sovrano europeo?
Le rispondo citando un articolo che ho letto sul Financial Times in cui è stata raccolta l’opinione dei mercati riguardo Keir Stamer, il leader laburista inglese che si prepara a governare con un’ampia maggioranza e che ha già detto che tutte le manovre sociali ed essenziali per il Paese verranno fatte senza ricorrere al debito. La cosa interessante è che i mercati chiedono, invece, più deficit per gli investimenti pubblici di cui il Paese ha immenso bisogno e che sono precondizione per la crescita e la sostenibilità delle finanze pubbliche.
Il Regno Unito non è più però nell’Ue…
Vero, ma, tornando all’Europa continentale, per rassicurare i mercati serve un messaggio unico, comune, il cui principio base è: molti più investimenti pubblici di prima controllati nel loro livello di qualità dall’Europa, ma con spese autonome (e in deficit) dei singoli Stati in attesa che sia possibile far nascere un Governo federale europeo. In questo momento l’Europa ha scelto meno deficit e nessuna attenzione alla qualità della spesa, mentre occorre più deficit per maggior spesa strategica, con un controllo europeo sulla sua qualità. Si tratta di un paradigma che potrebbe essere gradito a tutti i Paesi membri, con appropriate sicurezze sul fatto che quelli “spendaccioni” possano essere controllati per verificare che spendano bene, e che porterebbe vantaggi derivanti dalla maggior crescita, a partire da un abbassamento del rapporto debito/Pil.
(Lorenzo Torrisi)
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