Mario Draghi oggi incontrerà a Milano, all’interno della sede della Banca d’Italia, l’European round table (ERT) for Industry, un forum a cui partecipa il management di alcune delle maggiori società europee. L’incontro, si suppone, prende le mosse dalla scrittura del Rapporto sulla competitività europea di cui l’ex presidente della Bce e presidente del Consiglio italiano è stato incaricato da Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea.
Le imprese europee, che in molti settori sono storicamente tra i leader globali, stanno attraversando una fase complessa che minaccia la competitività dell’industria continentale e il benessere degli europei.
La prima debolezza riguarda il settore energetico. L’Europa ha perso l’accesso al gas economico russo ed è costretta a importare gas liquefatto, molto più costoso, da fornitori più lontani o da zone del mondo, lo vediamo in questi giorni con la crisi del Mar Rosso, che presentano rischi geopolitici; poco importa se i rischi riguardino il luogo di estrazione o il percorso. Oggi il prezzo del gas in Europa è dieci volte superiore a quello americano. La fragilità politica europea, anche nel settore della difesa, rende complicato difendere le catene di fornitura. Con uno svantaggio competitivo sul settore energetico di questa portata difendere la propria base industriale diventa complicato.
La potenza industriale emergente, l’India, oggi attinge a piene mani dal petrolio e dal gas russi. Le rinnovabili non sono una soluzione compatibile con l’urgenza della crisi. La regina verde d’Europa, la Germania, lunedì ha generato il 50% della sua elettricità da combustibili fossili, con il carbone a fare la parte del leone; questo nonostante investimenti che nessun altro Paese europeo si può permettere e che oggi diventano complicati in una fase di declino economico.
La seconda debolezza riguarda la politica industriale. Nessun Paese al mondo è impegnato in una rivoluzione energetica imposta con ritmi tanto serrati e con tale indifferenza per la propria manifattura. L’esempio massimo è la gestione politica europea del settore manifatturiero per eccellenza: l’auto. Nessuna azienda europea, nemmeno i colossi tedeschi, è oggi in grado di competere sull’elettrico con i rivali americani, Tesla, o cinesi, Byd. È sia una questione di ritardo negli investimenti, sia, ancora più a fondo, di costruzione e sviluppo delle catene di fornitura che alimentano una batteria elettrica. L’Europa sta condannando il motore a combustione, su cui aveva costruito un vantaggio competitivo notevole, per favorire una tecnologia che non ha e su cui non ha investito perché non ha le risorse adatte. Non importa quanto pulito e di ultima generazione possa essere il diesel e non importa nemmeno se il diesel è bio. Contro questo approccio politico non c’è competitività che tenga e non c’è settore o singola società che possa resistere.
La terza debolezza riguarda il sistema economico europeo nel nuovo mondo fatto di protezionismo, conflitti, più o meno caldi, e sicurezza nei rapporti economici. L’economia europea ha costruito buona parte della sua prosperità sulle esportazioni in uno scenario in cui i commerci fluivano liberamente. Queste condizioni non sono più attuali e l’ultima crisi geopolitica nel Mar Rosso appare come l’ennesima puntata di una grande guerra commerciale che si acuisce con il passare dei mesi. Difendere la competitività dell’industria europea richiederebbe una grande flessibilità politica ed economica nei rapporti internazionali che l’Europa non può avere insieme a una grande determinazione. L’Europa sembra l’ultima entità nel globo a potersi permettere grandi battaglie ideologiche e invece è quella che ne fa di più e con più perseveranza.
I problemi della competitività europea non sono problemi economici o industriali, ma innanzitutto politici. Sullo sfondo rimane la tentazione di risolvere l’equazione rifugiandosi in barriere commerciali senza però avere, come le principali controparti, ancora i mezzi e le risorse per mantenerle e insieme difendere il benessere degli europei. Non è insomma una “tecnica” che può difendere l’economia europea.
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