Quanto rischia Ursula von der Leyen? Rischia tanto, forse mai così tanto, ma guai a sottovalutarla, perché in passato ha dimostrato di avere sette vite, come i gatti. Anche perché se dovesse alla fine essere costretta al passo indietro, tutto il quadro politico europeo ne uscirebbe terremotato, e si aprirebbero scenari imprevedibili, compreso uno (di cui si mormora nei corridoi brussellesi) che vorrebbe nientemeno che Mario Draghi alla guida della Commissione europea.
Ma andiamo con ordine. Von der Leyen ha tempo sino al 27 novembre per trovare la quadratura del cerchio, e di sicuro lo sfrutterà sino all’ultimo minuto utile. Pietra dello scandalo la vicepresidenza esecutiva affidata a Raffaele Fitto, che socialisti, liberali e verdi proprio non vogliono. La trattativa si è impantanata, perché i popolari hanno “preso in ostaggio” un’altra candidatura alla vicepresidenza, quella della socialista spagnola Teresa Ribera. Scatenati soprattutto gli esponenti iberici del PPE, che alla Ribera, ministro ancora in carica della transizione ecologica, imputano pesanti responsabilità nella vicenda dell’alluvione che ha colpito Valencia.
C’è uno scontro politico e ce n’è uno procedurale. Fitto fra i vicepresidenti vuol dire, per socialisti, liberali e verdi, sancire uno spostamento a destra della maggioranza Ursula che non intendono avallare, anche perché a luglio i conservatori di ECR non hanno votato per von der Leyen (ma sappiamo che una parte di europarlamentari FdI, su indicazione della Meloni e d’accordo con von der Leyen, nel segreto dell’urna ha votato sì). Da qui la proposta di votare un pacchetto di cinque vicepresidenti, ed esprimersi separatamente su Fitto. Ipotesi sin qui respinta con durezza dal PPE (e dai conservatori, ovviamente).
Per il governo italiano, poi, la bocciatura del proprio candidato sarebbe uno schiaffo in piena regola. Forte di un ottimo rapporto con von der Leyen, Meloni le sta provando tutte, compreso lo spoliticizzare la candidatura, vestendola solo della maglia della nazionale. In questa chiave anche il Capo dello Stato è stato sollecitato a dare copertura all’operazione, e Mattarella non si è sottratto, ricevendo Fitto e facendo sapere che il suo incarico europeo è “così importante per l’Italia”. Parole che mettono sotto pressione i rappresentanti in Europa dei partiti che a Roma siedono all’opposizione, il PD in particolare, la delegazione più numerosa nell’ambito del PSE.
Mercoledì 20 si capirà forse qualcosa di più: si riuniranno a porte chiuse i capigruppo dell’europarlamento, mentre a Madrid la Ribera dovrà riferire alla Camera sull’alluvione di Valencia. Che il PSE tenga duro sino in fondo sul no a Fitto è tutto da dimostrare. Schlein, ad esempio, difficilmente potrà ignorare il richiamo di Mattarella, ma per il momento fornisce sono risposte evasive. Il rischio che corre il Nazareno è finire bersaglio di una martellante campagna come “traditori della patria”.
La situazione rimane ingarbugliata, anche perché non si tratta di linee di frattura esclusivamente spagnole o italiane. Da luglio ad oggi tante cose sono cambiate, dalla vittoria di Trump alla crisi di governo in Germania, con il cancelliere socialista Scholz proiettato verso elezioni anticipate a febbraio nelle quali non è il favorito. La prospettiva di far saltare la seconda commissione a guida von der Leyen diventa assai complessa e restituirebbe all’esterno l’immagine di un’Europa paralizzata, mentre tutto intorno corre a gran velocità. Come contrastare la minaccia dei dazi, o della chiusura dei rubinetti USA all’Ucraina? Caduta von der Leyen si ricomincerebbe da zero una negoziazione fra i governi, e servirebbero mesi. Vero che circola l’ipotesi Draghi, ma ad avere le maggiori perplessità sarebbe proprio Meloni, che di fatto dovrebbe rinunciare a essere rappresentata nell’esecutivo comunitario. Draghi è Draghi, un italiano di grande prestigio, ma non è certo un uomo del centrodestra.
Lo scenario conseguente a un fallimento di von der Leyen è talmente fosco da restare improbabile. Questo, almeno, direbbe il buonsenso. E la presidente uscente della Commissione, in corsa per il bis, potrebbe costruire il voto di conferma pezzo a pezzo, visto che i partiti europei sono assai poco monolitici. I prossimi dieci giorni saranno comunque decisivi per sapere quale Europa verrà.
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