E Letta? E Draghi? Che fine hanno fatto? Come mai Ursula von der Leyen non ha nemmeno citato i due rapporti che ella stessa aveva lanciato affidandoli a Enrico Letta e a Mario Draghi? Il primo riguarda il completamento del mercato unico ed è già stato consegnato alla Commissione europea uscente. Il secondo, dedicato alla competitività, era atteso per questo mese, subito dopo l’insediamento della nuova Commissione, ma a quanto pare dovrebbe slittare addirittura al prossimo ottobre. Perché mai? Perché è stato superato dagli eventi e aspetta di capire che cosa accadrà negli Stati Uniti, cioè se vincerà Donald Trump?



Quante domande in un solo capoverso, tuttavia ascoltando e poi leggendo il discorso con il quale Ursula von der Leyen ha presentato il suo secondo mandato, bisogna ammettere che ha toccato solo di sfuggita i due temi che solo qualche mese fa sembravano fondamentali per il futuro dell’Unione Europea. Ursula ha parlato di tutto e in particolare ha riconfermato la strategia del Green Deal alla quale teneva il partito Verde, come condizione per assicurare il suo via libera a una seconda presidenza. Ma ha glissato sul mercato unico, che certo divide i singoli Paesi più che unirli. Sembra un paradosso, ma è la legge bronzea dell’Ue, la quale è più di una confederazione, ma meno di una federazione, è piuttosto un ircocervo con la testa federale e un corpo nazionalista. Quindi da una parte viene evocata una politica tendenzialmente unificata su tutte le questioni di fondo (le tasse, la politica di bilancio, il mercato del lavoro e quello dei capitali, il flusso di uomini e di denaro, la messa in comune per obiettivi comuni del risparmio e degli investimenti). E dall’altra prevalgono gli interessi nazionali anche quando entrano in contraddizione con gli interessi comuni.



Sembrava che risolvere questa contraddizione di fondo fosse l’obiettivo principale della nuova legislatura europea, ma Ursula non ne ha parlato. Si può dire che tutto ciò sia in gran parte implicito, ma non lo è affatto perché la vera unificazione dei mercati richiede una scelta strategica comune. E, visti gli attuali rapporti di forza, ha bisogno di un cambiamento del sistema decisionale, passando dall’unanimità alla maggioranza.

Ancor più complicato sarà realizzare il rapporto Draghi, che afferra per le corna la più grande sfida di questa fase storica: tener testa da una parte alla Cina dall’altra agli Stati Uniti. Non sappiamo se vincerà Trump o Kamala Harris dopo l’annunciato ritiro di Biden, sempre che sia lei la candidata democratica. Ma il fatto è che persino in questo caso gli Stati Uniti presenteranno il conto all’Unione e a tutti i suoi alleati europei.



Il primo conto, assolutamente prioritario oggi, è la difesa comune. L’Europa non potrà più coprirsi pressoché totalmente sotto l’ombrello americano. Il secondo riguarda l’industria. La Cina sta mostrando la sua forza nel campo delle nuove tecnologie, dal software alle materie prime. Gli Usa stanno reagendo in proprio, con una politica industriale dominata dalla priorità di recuperare un primato traballante. L’Ue è indietro, ma Ursula von der Leyen non ci ha spiegato come colmare o quanto meno ridurre il divario. Dovrebbe spiegarcelo il rapporto Draghi, se e quando vedrà la luce.

Sia chiaro, nessuno ha la bacchetta magica, tutti sappiamo che ci vuole tempo, ma ora più che mai il tempo è tiranno. Se vince Trump conosciamo già quel che ci aspetta dal protezionismo esercitato con dazi e tariffe a una progressiva riduzione dell’impegno militare su uno scacchiere europeo che non interessa a The Donald e ai suoi sostenitori. Ma attenzione, se ci sarà un Presidente democratico le cose cambieranno forse nella forma (più gentile, più diplomatica), ma non nella sostanza. Può darsi che, anziché colpirle e metterle a terra la tattica sarà neutralizzare e poi assorbire le potenziali concorrenti europee. La “globalizzazione tra amici” teorizzata da Biden non servirà a farci più amici, ma a moltiplicare i nemici.

Ursula von der Leyen non ha detto quasi nulla su tutto ciò, al di là di generiche affermazioni. Oggi c’è a Bruxelles una grande illusione che serve spesso a coprire profonde delusioni. Ma l’Ue non parte da zero, come ha mostrato il rapporto Letta che non ha mancato di far emergere errori, omissioni, divergenze di fondo e rivalità personali e politiche. L’Unione ha davvero una maggioranza solida a sufficienza per trasformare un rapporto tecnico in un programma politico? Lo stesso si può dire, in base a quel che ne sappiamo, del documento affidato a Draghi per quel che ha fatto dodici anni fa. I silenzi di Ursula mostrano che la risposta è no.

Quella maggioranza non c’è e non si sa come farla rinascere. E la Presidente, che ha una vasta cultura, è ricorsa al paradigma di Wittgenstein: quando non sappiamo cosa dire è meglio tacere.

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