I grandi Paesi europei si preparano a una nuova fase di rigore nei conti pubblici. Una scelta obbligata per molti versi, ma che diventa rischiosa perché il Vecchio continente è in pieno rallentamento e la politica fiscale non potrà dare nessuno stimolo alla congiuntura. Toccherebbe alla politica monetaria allentare la stretta e sostenere la crescita. Ma qui vengono i guai, perché le Banche centrali dopo aver fatto un passettino avanti adesso si sono fermate o addirittura tornano indietro. Intendiamo naturalmente la Bce, ma anche la Banca d’Inghilterra che ancora si lecca le ferite inferte dalla folle politica di Liz Truss che ha fatto ballare la sterlina.
Il nuovo Premier laburista, Keir Starmer ha messo subito le mani avanti. E Rachel Reeves appena nominata Cancelliere dello scacchiere, cioè ministro dell’Economia, ha chiarito che prima di tutto bisogna risanare i conti pubblici. Nessun nuovo deficit per finanziare la spesa corrente, il debito deve scendere nettamente nei prossimi cinque anni, il suo mantra è “niente sprechi”.
In Germania Olaf Scholz ha presentato il bilancio per il 2025. Dopo una una trattativa durata la bellezza di 80 ore, informa il Financial Times, è uscito vincitore il ministro delle Finanze, il liberale Christian Lindner, un “falco” del rigore. L’insieme della spesa pubblica scenderà da 489 a 481 miliardi di euro che non è poco se togliamo l’effetto dell’inflazione. Il Governo tedesco si è impegnato a seguire il limite costituzionale all’indebitamento detto anche freno del debito. Scholz ha cercato di salvare le spese per la difesa, il verde Robert Habeck, vice Cancelliere, ha puntato i piedi per salvare la transizione ecologica, ma Lindner ha avuto la meglio. La Germania deve essere oggi più che mai “Un’ancora di stabilità in Europa”, ha dichiarato alla fine lo stesso Cancelliere.
L’Italia sta seguendo una politica di bilancio definita prudente, ma in realtà diventa anch’essa rigorosa se mettiamo insieme il sacrosanto taglio al Superbonus, la stretta sulle pensioni, il rinvio dei tagli fiscali a meno di non trovare le risorse per pagarli. Tenere fede a tutte le promesse costa una ventina di miliardi. Vedremo quanti ne serviranno per rientrare sia pure a rate nei parametri fiscali europei. È scattata infatti la procedura d’infrazione per eccesso di deficit pubblico.
Anche Parigi è sotto procedura europea per un deficit pubblico di oltre cinque punti di Pil. Mentre scriviamo non sappiamo come andranno i ballottaggi in Francia, le previsioni dicono che il Rassemblemet National non otterrà la maggioranza assoluta, quindi si prepara una fase di estrema instabilità. Ma chiunque prenda le redini del Governo a palazzo Matignon dovrà partire dall’esigenza di ridurre il disavanzo. Le promesse della destra costerebbero almeno 40 miliardi di euro aggiuntivi, quelle della sinistra sono diverse come lo è lo stesso Nuovo fronte popolare, in ogni caso si presentano estremamente care. Nessuno né a destra, né a sinistra potrebbe tenere fede agli sconsiderati impegni elettorali.
Dunque, rientra dalla finestra l’odiata austerità? È vero che la Gran Bretagna è fuori dall’Ue, ma è evidente il suo peso economico, ancor maggiore sui mercati finanziari. Un attacco alla sterlina si ripercuoterebbe immediatamente sull’euro. Quanto a Germania, Italia e Francia, una politica fiscale realistica e credibile è la premessa per tenere la moneta unica fuori dai guai. È quel che raccomanda anche Christine Lagarde, ma allora dovrebbe lanciare un nuovo whatever it takes, assicurando che la banca centrale farà una politica monetaria in grado di sostenere la crescita e favorire così la riduzione dell’indebitamento pubblico e l’equilibrio dei bilanci.
La preoccupazione principale della Bce è stata l’inflazione che ora sta scendendo molto più rapidamente del previsto. Non tutte le economie viaggiano allo stesso ritmo, l’Italia guida la ritirata dei prezzi, ma la direzione di marcia è la stessa. Attenti, dice Madame Lagarde, è vero l’inflazione scende, ma è presto per cantare vittoria. Adesso il pericolo arriva non dai prezzi dell’energia o dai salari, ma dalle crisi geopolitiche. Un seguace dell’ortodossia monetaria direbbe che non è compito della banca centrale risolvere la guerra in Ucraina. Un keynesiano aggiungerebbe al contrario che il banchiere centrale deve tener conto che in un periodo di elevate tensioni internazionali non è il caso di lesinare la moneta mantenendo troppo elevati i tassi d’interesse reali. L’uno e l’altro pur da posizioni diverse arriverebbero alla stessa conclusione: da Francoforte non arriva nessun messaggio chiaro per orientare le aspettative degli operatori economici. Al contrario, con la sua tattica del giorno per giorno, la Bce targata Lagarde finisce per alimentare le incertezze.
Quo usque tandem, Christine?
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