Se l’accordo sui “top jobs” Ue verrà confermato nel Consiglio europeo al via oggi, la nuova Commissione europea, sempre a guida von der Leyen, potrebbe presto vedere la luce ed entrare in carica. Tra le prime questioni che dovrà affrontare ci sarà anche quella delle correzioni ai conti pubblici che Italia e Francia dovranno attuare in autunno dopo che nei loro confronti (e di altri 5 Paesi) è stata avviata la scorsa settimana la procedura d’infrazione per eccesso di deficit. Secondo Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison e docente di Economia industriale all’Università Cattolica di Milano, «più che l’aspetto formale della decisione di Bruxelles, penso sia rilevante quello sostanziale, perché mentre sul caso italiano pesa quel deficit/Pil del 2023 superiore al 7% a causa del Superbonus, un alto disavanzo, quindi, non strutturale, suscita una certa preoccupazione, anche per via della concomitante crisi politica, la situazione dei conti pubblici francesi. In particolare, penso che più che il deficit oggetto della procedura d’infrazione sia la crescita del debito pubblico di Parigi a dover allarmare».



Perché? Di quanto è cresciuto il debito pubblico francese?

In valore assoluto, e al netto degli interessi sul debito, di oltre 500 miliardi di euro negli ultimi quattro anni. Giusto per avere un termine di paragone, in Italia tale incremento è stato inferiore ai 200 miliardi. Tra l’altro, nonostante questo aumento del debito, in Francia non c’è stata una grande crescita del Pil. Sostanzialmente si sono usate risorse per azioni protettive del welfare e degli interventi sociali che non hanno inciso in maniera significativa sull’economia: al massimo sono riuscite a sostenere i consumi che in effetti sono andati meglio che in Germania. La differenza tra il tipo di appesantimento dei conti pubblici di Italia e Francia è che nel nostro caso a qualcosa è servito, un minimo di effetto sulla crescita il Superbonus l’ha avuto.



Allora in Francia l’aumento di deficit e debito a cos’è servito?

A evitare tensioni sociali e difendere il ceto medio-basso, specialmente nelle aree che non sono l’Ile de France o il Rodano-Alpi, dove il reddito pro-capite a parità di potere d’acquisto è inferiore alla media europea. In Francia c’è una crisi socio-economico latente di cui non abbiamo l’esatta percezione. Se poi il Ceo di Goldman Sachs International ha dichiarato di essere fiducioso sull’Italia e che i rischi di instabilità possono arrivare dalla Francia, qualcosa vorrà pur dire.



Non rischiamo però di pagare anche noi i rischi di questa instabilità?

Quando ci sono tensioni sull’euro scatta un meccanismo automatico per cui se è in crisi un Paese, in questo caso la Francia, deve esserlo anche l’Italia, ma non si capisce perché. Fa bene Giorgetti a richiamare alla necessità della massima prudenza sui conti pubblici, ma bisogna anche riconoscere che il nostro Paese è in una situazione estremamente confortevole. Se anche immaginassimo un risalita del rapporto debito/Pil sopra il 140%, avremmo, rispetto al pre-Covid, un peggioramento di pochi punti percentuali, mentre nel caso francese l’aumento sarebbe superiore al 10%. Credo valga la pena citare anche un altro dato importante.

Quale?

La Francia ha quasi 1.600 miliardi di euro di debito pubblico in mani estere, l’Italia circa 700. Intorno alla Francia c’è quasi un’aurea di Paese solido, ma non è così: dopo la Grecia oggi è molto più affannata di noi, deve convincere gli investitori esteri a puntare su di lei. Non capisco perché se il problema è francese debba salire il nostro spread. Adesso abbiamo anche il Sud che cresce più del Nord.

Come mai? È il Nord che ha rallentato o il Sud che è diventato più dinamico?

Il Nord non ha rallentato: l’anno scorso ha avuto una crescita superiore alla media dell’Ue. La novità è che il Sud sta registrando un progresso veramente importante. In particolare, Campania e Puglia. Un miglioramento che sembra dovuto agli investimenti pubblici del Pnrr, al buon andamento dei servizi e del turismo e anche di un’industria manifatturiera che registra buoni dati sull’export. Questo, insieme ai bonus sulle assunzioni, sta portando alla creazione di posti di lavoro veri anche nel Mezzogiorno. Basti pensare che nell’industria in senso stretto l’anno scorso l’occupazione è cresciuta del 3,3% a fronte di una media nazionale dell’1,7%.

Si sta per chiudere il secondo trimestre dell’anno. Cosa si aspetta riguardo all’andamento del Pil?

Se guardiamo alle stime di PMI Global, il Pil dell’Eurozona potrebbe crescere dello 0,2%, nonostante il rallentamento di Francia e Germania registrato a giugno. In Italia abbiamo avuto ancora un andamento piuttosto stazionario dell’industria, ma i servizi pare che stiano andando bene e sembra che, seppur lentamente, anche il Pnrr stia cominciando a dare i suoi frutti. Penso, quindi, che l’Italia dovrebbe essere cresciuta perlomeno quanto la media dell’Eurozona. Se così fosse, un +0,2%, considerando la crescita acquisita registrata alla fine primo trimestre, pari allo 0,6%, ci avvicinerebbe ancora di più all’obiettivo finale per l’anno pari al +1%.

(Lorenzo Torrisi)

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