È difficile, quasi impossibile crescere in un’era di deflazione secolare. Soprattutto perché la deflazione non si è prodotta per cause endogene quali quelle individuate dal grand Hansen sul finire degli anni Trenta del Novecento: crollo demografico nei Paesi capitalistici metropolitani, abbassamento crescente del reddito per la disoccupazione tecnologica in primis. Oggi la deflazione è esogena, ossia voluta da una politica economica verticale emanata da un potere verticale generato da trattati transnazionali siglati dagli Stati europei aderenti all’Unione Europea.
A fondamento di questi trattati vi è una cultura ordoliberista che riflette nell’imposizione della bassa inflazione i rapporti di potenza esistenti tra le nazioni a suo tempo firmatarie. Di qui una concorrenza regolata, non politica ma appunto dettata da conflitti di potenza tra Stati, che ha prodotto, nonostante sequenze di helicopter money, una caduta sia dei tassi di profitto, sia dei salari che dei redditi. Di qui – soprattutto dopo la crisi mondiale del 2007 – il proliferare, soprattutto nei Paesi debitori, di crisi e serrate di imprese industriali ininterrotte, tra cui spiccano quelle ad ancora pubblica partecipazione azionaria.
Contro questa politica economica verticale sopranazionale ordoliberista sta mettendosi in marcia la vecchia talpa del conflitto tra le classi e i ceti. Questa è una scoperta della vitalità della società che dobbiamo ben tenere a mente. Lavoratori dipendenti e piccoli borghesi, commercianti e artigiani da una parte, e borghesia finanziaria improduttiva finanziarizzata dall’altra. In mezzo, le classi medie declassate e impoverite. In Francia il conflitto è esploso: da decine di giorni i movimenti collettivi si sono messi in moto e non lasciano né la strada, né la capacità negoziale e costringono le Président Synthétique a indietreggiare. In Germania gli agricoltori bloccano con i trattori la Baviera e in Turingia le destre conservatrici e insopportabili per la stessa Csu sono a un passo dal porre in scacco il cuore politico economico dell’Europa (ossia ieri come oggi il centro cattolico tedesco), costringendo la padrona dell’Europa, ossia la cancelliera Merkel, a porre il veto sul governo regionale ponendo in discussione la sua stessa leadership. E questo mentre l’abbandono da parte del Regno Unito dell’Unione Europea si intreccia con il sommovimento della vecchia talpa franco-tedesca che ho evocato prima e diffonde nell’oligarchia tecnocratica post-politica il terrore.
Che potrà accadere? L’assalto della Bastiglia di Bruxelles? La rivolta delle “classi di sotto” europee mentre la Cina – coronavirus o no – continua a premere sui Paesi debitori, può far scaturire un processo di delegittimazione delle tecnocrazie e delle diversificate compagnie di ventura attive su mandato franco-tedesco e nordico in tutte le nazioni europee debitrici e sottoposte al dominio estero diretto e indiretto. Di qui l’allarme di Gentiloni che invoca una modifica dei trattati e del Patto di stabilità e crescita: è un atto coraggioso e di buon senso. Buon senso politico in primo luogo e che ha trovato eco anche nella tecnocrazia europea.
La politica – nella paura e nel terrore della delegittimazione – invoca di fatto una via di salvezza, una via di scampo. Triste sorte degli eurofili fanatici che non sono riusciti – da Prodi a Monti – a trovare una via d’uscita dignitosa a una sudditanza prolungata e veramente imbarazzante. Se si inizierà a negoziare una revisione del Patto di stabilità sarà il trionfo dei riformisti e della dimostrazione che la politica economica europea può essere cambiata senza diroccare e senza rovesciare i trattati europei con conseguenze inimmaginabili. Ma sembra veramente l’ultima spiaggia, l’ultimo appuntamento di un destino che quando colpisce imperi e Costituzioni senza leggi può far scaturire dalla società demoni terribili e inaspettati.