Eurostat ha confermato ieri che il Pil dell’Eurozona nel terzo trimestre dell’anno è cresciuto dello 0,4%, ma ha anche comunicato che a settembre la produzione industriale nell’area dell’euro è scesa del 2,8% su base annua, con un dato particolarmente negativo per Germania (-4,5%) e Italia (-4%), i due principali Paesi manifatturieri d’Europa. Dall’altra parte dell’Atlantico, invece, è arrivato mercoledì il dato sull’inflazione di ottobre, in lieve aumento rispetto al mese precedente (al +2,6% dal +2,4%), ma, come ricorda Domenico Lombardi, professore di politiche economiche e governance dell’Eurozona alla Luiss, di cui dirige il Policy Observatory, «in linea con le attese degli analisti. Peraltro questo dato non cambia la valutazione di fondo di un quadro disinflattivo che si va sempre più stabilizzando negli Stati Uniti. Proprio per questo l’aspettativa rimane quella di un taglio del costo del denaro da parte della Fed a dicembre».
Da questo punto di vista non è, quindi, cambiato nulla nonostante il lieve rialzo dell’inflazione…
Al di là di questo rialzo non va dimenticato il fatto che la politica monetaria negli Stati Uniti continua a rimanere altamente restrittiva. Dunque, un taglio dei tassi non rappresenterebbe un problema. Piuttosto a dicembre il dibattito si concentrerà su quanti tagli e di quali entità verranno effettuati nel 2025. Nel frattempo, la crescita del Pil Usa resta sostenuta: nel terzo trimestre dell’anno è stata dello 0,7%, quasi il doppio rispetto a quella dell’Eurozona.
Cosa pensa dei dati diffusi ieri dall’Eurostat?
La crescita del Pil nel terzo trimestre è stata superiore a quella registrata nei due trimestri precedenti, ma la produzione industriale a settembre ha registrato una contrazione particolarmente pronunciata nel settore dei beni di investimento, risentendo principalmente di due fattori: la politica monetaria restrittiva della Bce che tende a comprimere la spesa per investimenti; la congiuntura internazionale incerta, soprattutto per quel che riguarda l’economia cinese che ha importato meno beni di investimento dall’Europa, soprattutto dalla Germania. Si conferma, quindi, in atto una crisi della manifattura, che riguarda anche l’Italia e la Francia, non solo la Germania.
Il quadro internazionale potrebbe anche peggiorare dopo la vittoria di Trump alle presidenziali.
Durante la campagna elettorale il Presidente eletto non ha fatto mistero di voler utilizzare in modo proattivo gli strumenti della politica commerciale, rafforzando o creando ulteriori frizioni nel commercio internazionale. Davanti a noi abbiamo dei mesi di assestamento di cui l’economia dell’Eurozona, già in affanno, potrebbe risentire. Considerando che la politica monetaria rimane particolarmente restrittiva e che le aspettative inflazionistiche restano ancorate al target di medio termine del 2%, ritengo ci siano tutti gli elementi per un’ulteriore riduzione dei tassi da parte della Bce. Anche perché non può essere trascurato un altro aspetto.
A che cosa si riferisce?
Al fatto che l’Eurozona si trova in una situazione in cui la politica fiscale non può essere espansiva. In Italia dovrà rimanere su un sentiero di prudenza, anche per via della procedura d’infrazione per eccesso di deficit cui è sottoposta pure la Francia.
La Germania ha invece un ampio margine fiscale.
Sì, ma realisticamente non ci potremo attendere una variazione significativa della postura fiscale tedesca. Probabilmente ci sarà un allentamento, ma pure quello molto prudente. La Germania viene da due anni circa di stagnazione e a questo difficile quadro economico si sta sovrapponendo una crescente incertezza politica che si interseca con quella francese. In questo contesto estremamente complesso ritengo occorra agire tempestivamente e la Bce, nell’ambito della sua indipendenza, può farlo. Tra l’altro, non le si chiede di adottare una politica monetaria espansiva, ma semplicmente di riportarla su un sentiero di sostenibilità, facendo convergere i tassi di intervento su livelli prossimi al tasso naturale, quello che non produce né accelerazioni, né deprime l’economia.
Oltre a tagliare i tassi, a dicembre la Bce dovrà dare delle indicazioni sulle mosse che intende adottare l’anno prossimo?
Sebbene la Bce abbia rinunciato a formulare esplicitamente una forward guidance, questa la si può desumere tra le righe dei comunicati stampa e delle dichiarazioni della Presidente Lagarde. Oltretutto, l’implicita forward guidance tenderà a riflettere la politica accomodante che verrà rafforzata dall’ulteriore allentamento dei tassi da parte della Fed a dicembre.
Dunque, quel dibattito di cui parlava all’inizio sulle mosse future della Fed sarà importante anche per l’Europa…
La Bce monitora sempre le decisioni della Fed e il nuovo sentiero di riduzione dei tassi che verrà comunicato dalla Banca centrale americana costituirà un ulteriore importante elemento, insieme alle condizioni dell’economia, per una politica monetaria più accomondante nell’Eurozona.
(Lorenzo Torrisi)
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI