Incassata la sconfitta elettorale in patria, per il Rassemblement National di Marine Le Pen è caduta l’ultima remora che lo separava dall’unirsi con tutti i sovranisti europei. La decisione era nell’aria, ma ieri è arrivata l’ufficialità: i Patrioti hanno raccolto 84 eurodeputati di 12 Paesi (la Lega per l’Italia) e saranno il terzo gruppo a Strasburgo dopo popolari e socialisti. È un duro colpo per Giorgia Meloni, che un mese fa, all’apertura delle urne, era convinta che il terzo gruppo sarebbe stato il suo, quello dei Conservatori e riformisti (ECR). Invece, uno dopo l’altro, la Meloni ha perso molti di coloro che considerava alleati sicuri, dagli spagnoli di Vox agli ungheresi di Orbán.
Ora la leader di Fratelli d’Italia ha uno spazio di manovra più ridotto. Ma questo esito, in realtà, è la diretta conseguenza delle sue “valutazioni”. Per mesi ha dialogato con Ursula von der Leyen pensando così di condizionarla, lasciando intendere che al momento opportuno avrebbe fatto pesare i propri voti. A lungo ha dato carta bianca a Raffaele Fitto, ministro degli Affari europei e del PNRR, da sempre suo apripista nelle stanze del potere europeo, la cui linea è stata quella mostrare la differenza ma anche la (presunta) convenienza per Bruxelles di fidarsi della leader di ECR, concedendole gli spazi che le spettavano in contraccambio. La strategia appariva astuta: rendere gradualmente condizionanti la Meloni e i Conservatori a Bruxelles, facendo accettare la presidente del Consiglio dalle cancellerie senza farla apparire organico all’asse PPE-PSE. Occorre chiedersi se l’esito non sia stato piuttosto quello di una progressiva “normalizzazione”. Bizantinismi che ricordano la prima repubblica (d’altra parte Fitto era democristiano prima di passare in Forza Italia e infine in Fratelli d’Italia) e che a Bruxelles non hanno mai trovato grandi estimatori. La vecchia maggioranza PPE-PSE-liberali, che si appresta a chiedere la riconferma con opportuni rinforzi, si è sempre servita dei Conservatori senza stringere patti. Così l’estenuante trattativa sulle nomine ha segnato una battuta d’arresto per la Meloni. La situazione di stallo si è poi trasformata in una marginalizzazione di fatto: all’Italia toccherà quello che ci spetta come terzo Paese dell’Ue, indipendentemente da chi sta a Palazzo Chigi.
Il risultato è che ora, politicamente, in Europa la Meloni raccoglierà le briciole. Alla fine, benché sia alla guida del primo partito italiano, la presidente del Consiglio è schiacciata tra gli alleati che hanno meno di un terzo dei suoi voti: Tajani, fedelissimo della von der Leyen, e Salvini, strenuo oppositore della presidente uscente della Commissione Ue.
La nascita dei Patrioti, eurogruppo passato da zero a 84 deputati in poco più di una settimana, certifica adesso le difficoltà in cui la Meloni si trovava da tempo. Un suo eventuale avvicinamento ai Patrioti significherebbe un allontanamento da Ursula e un isolamento per l’Italia; al contrario una mano tesa ai Popolari significherebbe un’ulteriore perdita di peso negoziale e la perdita di ogni vera fisionomia politica alternativa. Un bell’impasse, dunque, col risultato che a oggi i voti raccolti da Fratelli d’Italia per il Parlamento europeo sembrano sterilizzati.
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