Prima ancora che per il contenuto, l’intervista rilasciata da Angela Merkel al direttore del Financial Times, Lionel Barber, colpisce per un’elevata suggestione simbolica. Quando il giornalista britannico intervistò per la prima volta la statista tedesca era il 2005. Il primo era ancora capo dell’ufficio di Bruxelles di Ft (sarebbe divenuto direttore l’anno dopo), mentre la seconda era la leader della Cdu, lanciata verso la prima cancelleria “rosa” nella storia della Germania.
Nel gennaio 2020 Barber sta lasciando il timone del quotidiano della City – alla prima editor rosa, Roula Khalaf – mentre la bundeskanzlerin ha iniziato il suo quindicesimo anno di ininterrotto governo a Berlino: in teoria non ancora l’ultimo, ufficialmente in attesa del voto politico del 2021. Ma vi sono pochi dubbi che una lunga stagione – a cavallo dello spartiacque del collasso finanziario del 2008 – si stia avviando a conclusione. Lo stesso Barber ha annunciato il suo addio nell’imminenza del recente voto britannico che ha decretato la definitività della Brexit. Ft ha sempre avversato il distacco di Londra dall’Europa: prima e dopo il referendum. E si legge un accento personale allorché Barber, nel lungo resoconto del colloquio, sottolinea che la stessa Merkel sembra ritrovarsi oggi “dalla parte sbagliata della storia”. E – ancora una volta al di là di contenuti in realtà privi di particolare spicco – sembra essere questo il messaggio della conversazione. Un incontro che – su scala minore, ma non di molto – può ricordare la cena che Merkel offrì a Berlino a fine 2016 a Barack Obama, dopo il voto che decise l’ascesa di Donald Trump alla Casa Bianca.
C’è un mondo iniziato al London Stock Exchange a metà degli anni 80 e poi a Maastricht negli anni 90 che è stato a lungo centro della storia, sulla ribalta della storia, alla guida della storia. Sia Barber che Merkel – oltre a molti altri player fra Londra e Berlino, fra Parigi e Bruxelles – hanno provato fino in fondo a mantenere centralità all’Europa, convinti della necessità ma anche della possibilità di un baricentro europeo nella globalità in forte evoluzione, anzitutto fra Usa e Cina. Invece – riconoscono assieme intervistatore e intervistata – “oggi l’Europa non è più al centro degli avvenimenti”, anzitutto perché – sottolinea Merkel – ha perso competitività.
Ma lungi dal considerare Brexit una sconfitta personale e politica, la cancelliera usa la prima pagina di Ft per “suonare la sveglia” all’Europa: ricordando ai 90 milioni di tedeschi e ai 500 milioni di europei che non c’è alternativa a una Ue unita che sappia assumersi maggiori responsabilità. Con il dossier difesa certamente in cima all’agenda. E con la consapevolezza che sul completamento dell’Unione bancaria (con l’assicurazione comune dei depositi) “la Germania ha ancora qualche esitazione”.
Ma non era un’intervista di dettagli né di ricette quella accordata da Merkel a Barber: è stata, principalmente, un momento importante del “crepuscolo” della cancelliera. E non è affatto escluso, che fuori dal transcript della conversazione, Merkel abbia sussurrato al giornalista qualcosa di più preciso sul timing reale del passaggio delle consegne a Berlino e sul “chi e come” si ritroverà a guidare il più grande Paese europeo. E non ci sarebbe da stupirsi se a raccogliere un giorno le memorie della cancelliera fosse proprio Barber. La Gran Bretagna di Johnson ha rotto con l’Europa germanocentrica così come gli Usa di Trump. Ma non per questo Merkel ha perso fiducia nel suo moderatismo in politica interna e nel multilateralismo sullo scacchiere geopolitico. E difficilmente perderà il rispetto – se non l’amicizia – degli oxfordiani filo-europei.