Alla roulette delle elezioni europee Giorgia Meloni ha guadagno un bel mucchietto di fiches. Qualche altra l’ha accumulata al tavolo del G7 che ha concluso con abbracci e sorrisi da padrona di casa. Ma già domani inizia un’altra manche della perenne roulette della politica. Forte del suo tesoretto si siederà al tavolo di Bruxelles già lunedì sera per quello che pare essere il primo incontro informale in cui discutere con i partner europei dei futuri assetti dell’Unione.



Come giocherà il suo tesoretto ci dirà se la caratura della sua leadership va oltre la sperimentata capacità di fare campagna elettorale. Il suo incastro sarebbe quello di mettersi dal lato dei vincitori imponendo un commissario amico ed impedendo che altri esponenti italiani, a lei non graditi, si siedano nella Commissione a dettar legge. Il punto è che le ricchezze politiche della Meloni sono fortemente svalutate dalla pozione che ha assunto negli ultimi anni con i compagni del gruppo europeo di cui detiene la leadership.



L’ECR comprende, infatti, l’ultra-inviso all’Europa Viktor Orbán e lei dovrà decidere se tener fede alle antiche alleanze o mettersi dal lato dei vincitori. Il suo rapporto con Ursula von der Leyen è solido. Ed un suo bis potrebbe essere oggi agevolato dalla sconfitta di Macron e Scholz, entrambi politicamente meno forti e perciò meno in condizioni di dettar legge. Un nome alternativo a quello di von der Leyen può arrivare solo da Germania, Francia e Italia che per peso politico e storia hanno un diritto implicito di primogenitura. Ed oggi non pare ci sia intesa diversa.

La “maggioranza Ursula”, però, non contempla l’ECR e non lascia spazio per nomine esterne alla maggioranza. Perciò o la Meloni entra, e lascia i vecchi amici, o resta fuori. Cosa preferirà è presto per dirlo. Da presidente del Consiglio non avere un commissario connazionale amico è una grande sciagura. Troppe le cose da decidere sui temi economici essenziali, come la finanziaria di fine anno, la cui vera dimensione (da 30 a 50 miliardi) dipenderà molto dalle regole europee e delle eccezioni che si riuscirà ad ottenere. E solo un amico carissimo (Fitto, Tajani o giù di lì) potrebbe andare in Europa a battagliare per lei e il Governo.



Senza questo appoggio, con il Pd alle calcagna, perdere questa occasione e dilapidare i vantaggi avuti sarebbe un errore irrimediabile. Giocare le fiches sul numero errato significa andare in bancarotta e vanificare la serie di incastri quasi magici che hanno portato la Meloni a Palazzo Chigi. Il gioco dei socialisti sarà questo. Cercare di di tenerla fuori e promuovere nomi a lei invisi (Letta?) proprio per tenerla lontana dai tavoli che contano.

Perciò o Giorgia Meloni entra in maggioranza lasciando Orbán e sedendosi ad un tavolo dove potrebbero esserci anche i Verdi, o si mette fuori dai giochi e perde l’unica partita che conta davvero per i prossimi anni. Cosa farà e come se la giocherà è forse la vera curiosità da toglierci sulla sua leadership per interpretarne la caratura. A sinistra sperano in un giro di roulette che dia finalmente la sensazione che l’aria sta cambiando. E faranno di tutto per tenerla fuori e sbancare lei e poi il suo governo; partita complessa, da cui dipende davvero tanto. Lunedì inizia a girare la ruota che si fermerà solo dopo diversi giri. Come ogni giocatore ansioso, la Meloni potrà sperare fino all’ultimo. A patto che la partita non sia truccata.

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