Nel dicembre del 1991 si svolgeva a Cortona uno dei consueti convegni sui problemi internazionali organizzati dalla Fondazione Feltrinelli, di cui ero direttore. Passeggiavo in un intervallo con Gianni De Michelis per le vie di quella meravigliosa città quando dalla Farnesina gli giunse la comunicazione che il ministro degli Esteri della Germania, Hans-Dietrich Genscher, con l’appoggio di Helmut Kohl, primo ministro tedesco e leader della Cdu di quel tempo, si apprestavano ad annunciare il riconoscimento tedesco di Croazia e Slovenia. Ricordo che Gianni posò il telefono e si mise a piangere: “Sarà un bagno di sangue”, disse. Gli stavo illustrando la “teoria dell’arancia” di Paul Rohrbach, intellettuale organico di quel colonialismo tedesco che infiammò i cuori e le menti durante la Repubblica di Weimar rivendicando le colonie di cui la Germania era stata “espropriata” da Versailles. La “teoria dell’arancia” era quella che intendeva agire per indurre l’Impero russo a sciogliersi nelle sue varie componenti così da ridurlo in parti controllabili dalla Germania e così la Germania si apprestava a fare, gli dicevo, con la Jugoslavia: “Se si suddivide abilmente un’arancia non si ottiene un insieme caotico inutilizzabile, né distruzione, bensì i vari spicchi restano intatti e appetibili”, diceva Rohrbach.
Dietro la politica di sconvolgere la Jugoslavia tramite “il piede di porco” del riconoscimento di Croazia e Slovenia, nel dicembre 1991, non vi era altro che l’antica tattica del divide et impera: niente a che vedere con “l’umanità”, i “diritti umani” o il “diritto all’autodeterminazione dei popoli”. A Slovenia e Croazia doveva essere assegnata una particolare e specifica funzione nel mercato interno dell’area ex jugoslava. Lo standard di vita di quelle regioni industrializzate era più alto che in qualunque altra parte della Federazione jugoslava. Mentre durante la crisi politico-economica degli anni 80 lo sviluppo era in stagnazione, i rapporti di scambio con le repubbliche più povere erano percepiti come “zavorra” e si cercavano prospettive di valorizzazione del capitale nell’annessione al mercato Cee e a quello mondiale. Di qui le guerre balcaniche, che non potevano non scoppiare dinanzi al nazionalismo barbarico serbo.
Ventidue anni dopo l’Unione Europea si confronta con una farsa dopo le tragedie balcaniche piene di sangue e di odio nazionalista: è la guerra minacciata per la pesca, mentre impazza ancora la pandemia e il virus dilaga per l’ascesa dell’accettazione del rischio e per la caduta della paura da contaminazione, mentre la stessa Ue con tutte le sue variegate istituzioni e leadership di cartapesta perde ogni giorno che passa sempre più legittimazione, come la questione dei vaccini, di cui si discetta ovunque trascurando temi importanti quanto mai, dimostra a dismisura.
È la guerra della pesca! Una farsa! A questo pensavo mentre ascoltavo e leggevo sulle diverse fonti di cui disponiamo – solo se usiamo il cervello – le notizie che provenivano dalla Manica: “Tensione all’isola di Jersey. L’accordo della Brexit provoca il primo conflitto diplomatico tra Regno Unito e Francia. Tutto per la pesca”. A settantaquattro anni di vita ho finalmente capito pienamente che cosa significa la famosa frase che Marx scriveva nell’introduzione a Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, l’opera più importante per comprendere ciò che oggi accade in Europa: “Hegel nota in un passo delle sue opere che tutti i grandi fatti e i grandi personaggi della storia universale si presentano, per così dire, due volte. Ha dimenticato di aggiungere la prima volta come tragedia, la seconda volta come farsa”.
“Il premier Boris Johnson ha inviato due motovedette della Royal Navy per proteggere l’isola di Jersey dal blocco dei pescherecci francesi. La decisione è seguita ad un colloquio tra il capo del governo britannico e il primo ministro della Dipendenza della Corona britannica, John Le Fondré”. È quell’evocare il primo ministro della Dipendenza della Corona che colpisce e fa morir dal ridere: sì, perché, con tutto il rispetto, Macron e i pescherecci se la sono presa non con il Regno Unito, ma con un Dominion della Corona, come se si trattasse del Canada o dell’Australia… Invece si tratta di un paradiso fiscale che l’Ue ha sempre sopportato e di cui mai si è occupata, nonostante il Commissario francese responsabile per la Ue delle trattative in merito alla Brexit avrebbe dovuto quanto meno occuparsene, soprattutto quando già si avvicinavano i tempi della mutualizzazione del debito, dell’unità fiscale e altre benemerite favole federaliste…
State a sentire, pardon, a leggere: “Un portavoce di Downing Street ha spiegato che il Primo ministro (Uk) ha parlato con il Primo ministro del Jersey e il ministro degli Affari esteri (dello Jersey), Ian Gorst, sulla prospettiva di un blocco di Saint Helier” – Saint Helier (in jèrriais Saint Hélyi; in francese Saint-Hélier) è la più grande città di Jersey, che è la più grande delle Isole del Canale nella Manica, con 28mila abitanti – sostenendo “l’urgente necessità di un allentamento delle tensioni e del dialogo tra Jersey e Francia sull’accesso alla pesca”. “Durante la conversazione, Le Fondré ha avvertito di movimenti di pescherecci francesi che si sarebbero registrati a breve per tagliare il porto principale dell’isola. Per Johnson, qualsiasi blocco da parte dei francesi è completamente ingiustificato”.
The Guardian aggiunge: “Le due motovedette della Royal Navy, Hms Severn e Hms Tamar, contano su cannoni progettati per proteggere da attacchi veloci e due mitragliatrici sul ponte”. E la Bbc batteva: “Un gruppo di pescherecci francesi protestavano al porto di St Helier di Jersey, dopo la fine dei colloqui con le autorità dell’isola, ma si sono recentemente allontanati”.
Dal canto suo Annick Girardin, Ministre des Outre-mer et de la Mer, ha “denunciato” Jersey per il fatto di aver imposto limitazioni alle imbarcazioni francesi in merito ai giorni in cui esse possono lavorare, quali specie possano pescare e in che modo. Inoltre, afferma, le autorità del Regno Unito hanno autorizzato per la pesca solo 41 navi francesi su 344 che ne avevano fatto richiesta. Per Girardin questo rappresenta una violazione degli accordi e ha ripetuto che la Francia dispone di meccanismi di pressione, come la fornitura di elettricità all’isola attraverso cavi sottomarini. Altro che “interconnessione”delle reti…
“Pesca post Brexit: a Jersey schierate motovedette francesi e britanniche”, titola il quotidiano francese Le Monde: “Parigi e Londra si oppongono alle nuove condizioni di pesca imposte ai marinai francesi. Mentre la Francia minaccia senza troppa convinzione di interrompere l’elettricità sull’isola, i due Paesi hanno inviato navi pattuglia… in risposta alla dimostrazione di forza da parte dei francesi, gli inglesi inviano due navi da guerra, Hms Severn e Hms Tamar, per monitorare la situazione”. Tuttavia, “le ‘manovre’ britanniche non dovrebbero impressionarci, afferma il segretario di Stato francese agli Affari europei, Clément Beaune”. Il segretario ha detto di avere parlato con David Frost, il ministro britannico responsabile dei rapporti con l’Unione Europea: “La nostra volontà non è quella di mantenere le tensioni, ma di avere una rapida e completa applicazione dell’accordo. Solo l’accordo, l’intero accordo”.
Sul caso è intervenuta l’Unione Europea, che ha dichiarato che Londra non sta rispettando quell’accordo, appunto. La Commissione europea ha chiamato alla calma e alla moderazione, sostenendo che fino a quando non sarà chiarita la situazione, i britannici non devono applicare alcun provvedimento. Il tutto mentre la campagna elettorale è alle porte in Francia e nel Regno Unito Johnson deve superare la caduta di popolarità a cui è sottoposto per gli scandali sulle spese sostenute per arredare Downing Street.
La farsa continua. Si rimane senza parole. E ci si domanda a che cosa siano serviti anni e anni discussioni. Il tutto, lo ripeto, mentre il Covid non accenna a veder scemare la sua potenza distruttiva. Non vi è null’altro su cui esercitarsi per dar fiato ai nazionalismi mai sopiti da un’utopia così dannosa come il governo dall’alto dei popoli? Il crollo dell’Urss non ci ha insegnato nulla? Nel frattempo in Europa si consuma una spasmodica lotta tra ciò che rimane del potere merkeliano e le sue alternative antagoniste. La Cdu è ormai in caduta libera, e ciò spiega l’abiura alla politica filocinese della Merkel: l’Europa ha potuto cambiare atteggiamento verso Pechino perché il gruppo di potere degli industriali tedeschi legati alla Merkel, quelli colpiti dagli Stati Uniti attraverso il dieselgate, che pensavano di opporsi a Washington facendo sponda sulla Cina, ebbene è sempre più debole, e inizia esso stesso ad avere forti dubbi sulla praticabilità di un’alleanza con Xi Jinping.
Stesse turbolenze in Francia, dove la stagione di Macron volge al termine. Sta sorgendo un nuovo fronte conservatore che liquida gli eccessi della Le Pen ma batte la sinistra e scommette sull’ipotesi che il nuovo, necessario De Gaulle possa essere il generale Pierre de Villiers. Per questo, tornando alla tragedia, mi sorge il dubbio che la vicenda della pesca non sia altro che fumo per allontanare e nascondere la verità. Ossia prendere tempo per cercare di ricostruire quell’asse franco-tedesco senza il quale l’Europa non esiste e neppure esiste l’Ue.
Mai come oggi darsi alla pesca mostrando i denti, che non ci sono se non di cartapesta, non è solo una commedia, un feuilleton, ma anche una necessità.
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