A urne aperte è lecito chiedersi per che cosa stiamo votando.
Durante la campagna elettorale che si è svolta nelle settimane scorse non si è sentito molto parlare di Europa e, quando se ne è parlato, è stato solo per dire quello che l’Europa non deve fare e dove non deve intervenire, oppure per mettere in discussione le politiche europee tout court.
Per lo più, però, si è parlato di temi interni. Le opposizioni prediligono una discussione sul tasso di fascismo di questo governo, e sui pericoli che corre la nostra democrazia; le forze di maggioranza si sono preoccupate di propagandare la bontà dei provvedimenti presi dal governo su sanità, previdenza, assistenza, edilizia, riduzione di aliquote, ecc., ma di Europa niente sia dai primi, che dai secondi.
Sì, si è detto che l’alleanza tra popolari e socialisti ha prodotto una gestione pessima della Commissione, dandone la responsabilità alla presidente Ursula von der Leyen, la quale, però, è al contempo la candidata per la prossima legislatura del Partito popolare in una possibile coalizione con liberali e conservatori, che metta fine al rapporto con i socialisti. Non è che sia un ragionamento del tutto lineare, ma in politica la linearità spesso pare non essere un obbligo.
Al di là di queste surreali discussioni, tuttavia, nessuna forza politica ha detto agli elettori quale politica intende perseguire. Il massimo è stato detto da chi ha ripetuto che vuole una Europa confederale, ma con un esercito e una politica estera europea. Affermazioni che non colgono il livello del dibattito europeo e in sé contraddittorie; segni evidenti della distanza che corre tra la massima classe politica italiana e la dimensione istituzionale europea.
In primo luogo, i termini confederale e federale sono ormai obsoleti; sono categorie dell’ottocento o, tutt’al più del primo novecento, ma completamente inappropriati per ciò che riguarda la costruzione europea; in secondo luogo, in una confederazione esercito e politica estera non sono centralizzati, ma appannaggio degli Stati membri, mentre in una federazione entrambi sono propri del potere federale. Basterebbe richiamare la vicenda della guerra anglo-americana del 1776 e il dibattito della Convenzione di Filadelfia tra federalisti e antifederalisti (da cui è nata la Costituzione degli Stati Uniti d’America) per avere idee chiare in proposito.
L’Europa è stata pensata per deporre lo jus belli tra gli Stati membri, giuridificare i loro rapporti e sottoporre gli eventuali conflitti ad un giudice comune (la Corte di Giustizia), al fine di assicurare una convivenza pacifica all’interno dello stesso ordinamento. La sua costruzione si fondava su un concetto nuovo, quello della “sovranazionalità”, da ordinare secondo il cosiddetto “metodo incrementale” enunciato da Schuman nella dichiarazione del 9 maggio 1950 (“l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”).
La prima idea, dopo il carbone e l’acciaio (1951), era stata quella di una Comunità politica dotata di una sua politica di difesa e, quando andò male nel 1954, con il fallimento del Trattato sulla Comunità europea della Difesa (CED), rimase solo il Mercato comune (1957).
Ciò nonostante, il metodo incrementale ci ha portato, giorno dopo giorno, ad una Europa forte con un mercato interno che, per via della sua “competenza funzionale”, ha coperto ampi ambiti di vita dei cittadini europei, con la sola eccezione della politica estera e di difesa comune, che nel Trattato di Maastricht ricompaiono come politiche strettamente intergovernative.
Da oltre 25 anni circola l’idea che ci sia una Europa troppo invasiva e il trattato di Lisbona fu scritto con l’intento di limitare i poteri europei; e invece, ecco arrivare la crisi economico-finanziaria (2010) e poi la pandemia da Covid-19 (2020) a dimostrare che non abbiamo avuto troppa Europa, ma troppo poca Europa. Con la guerra ai confini dell’Ue, si è riaccesa la fiamma della difesa europea.
Avete sentito qualche discussione su tutto ciò nella campagna elettorale che si è svolta in Italia?
Ma non è tutto.
Nel biennio 2021-2022 si è tenuta la “Conferenza sul futuro dell’Europa”, alla cui conclusione sono state presentate 49 proposte e 326 misure che alla fine del 2023 sono state valutate dalle istituzioni europee; in Italia i politici non ne hanno parlato e pure i media nazionali non se ne sono occupati.
Lo stesso silenzio ha ricevuto la risoluzione del 22 novembre 2023 con la quale il Parlamento europeo ha predisposto una riforma dei Trattati europei, intesa a migliorare la rappresentanza politica in Europa, a potenziare la democrazia europea, valorizzando ulteriormente il ruolo del Parlamento europeo e a rafforzare il sistema di governo europeo.
Sul piano dei poteri, inoltre, il Parlamento europeo propone di dotare l’Unione Europea di competenze specifiche in ambiti come l’ambiente e la sanità, nonché di rafforzare ulteriormente le competenze concorrenti dell’Unione nei settori dell’energia, degli affari esteri, della sicurezza esterna e della difesa, della politica in materia di frontiere esterne nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nonché delle infrastrutture transfrontaliere. Per ciò che attiene, infine, l’istituzione di un’Unione della difesa l’europarlamento propone che vengano create delle unità militari con una capacità di dispiegamento rapido permanente, sotto il comando operativo dell’Unione; oltre all’acquisizione congiunta e allo sviluppo degli armamenti, finanziati dall’Unione tramite una dotazione di bilancio specifica adottata con procedura di codecisione e soggetta al controllo parlamentare, e che, a tal fine, le competenze dell’Agenzia europea per la difesa siano adeguate di conseguenza.
Ora, una cosa sembra certa, e cioè che a breve i Trattati europei dovranno essere modificati, perché così come sono scritti non reggono più e i temi indicati dal Parlamento europeo sono certamente quelli di cui si discuterà nel Consiglio europeo e nel Consiglio dell’Unione Europea e soprattutto nel prossimo Parlamento europeo, e dal dibattito di queste istituzioni dovranno venire fuori le linee guide alle delegazioni per la stesura del prossimo Trattato.
Durante questa campagna elettorale avremmo dovuto parlare di questi temi e agitare su questi l’opinione pubblica italiana, in modo da potere fare esprimere il corpo elettorale sulle posizioni europee. Abbiamo invece assistito all’ennesima sottovalutazione dell’Europa da parte della politica italiana. Ma perché sia chiaro quanto valgono oggi le decisioni europee, rispetto a quelle interne, si consideri che 80% delle sentenze dei giudici italiani si fonda, direttamente o indirettamente, sul diritto europeo e non sulla legislazione interna.
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