Il presidente della Commissione europea deve passare sotto due forche caudine: la nomina da parte dei capi di governo – con una maggioranza che deve tuttavia rappresentare almeno il 60% circa degli abitanti degli Stati aderenti – e, in seguito, la conferma della suddetta nomina da parte del Parlamento europeo.
Orbene, la candidatura, anzi l‘autocandidatura, di Ursula von der Leyen è scaturita dall’assetto di guerra con cui vanno configurandosi i rapporti euro-atlantici dinanzi al conflitto inter-imperialistico scatenato dagli oligarchi dittatoriali russi contro l’Ucraina e le sue risorse che il gruppo dirigente putiniano – falliti gli avvicinamenti dell’inizio del secondo millennio pro integrazioni nell’UE e nella NATO – riteneva e ritiene sia possibile perdere e consegnare al capitalismo teutonico, cinese e anglosferico, primo passo per l’occupazione della Russia da parte del capitalismo anglosferico e tedesco-cinese.
La von der Leyen, assistita dal fedele Bjoern Seibert – diretto esponente della cuspide anglosferica tanto della burocrazia dell’UE quanto della CDU, come rende manifesto il suo cursus honorum -, si è candidata per lunghi anni, da quando era ministra alla Difesa con la Merkel, al ruolo atlantico che ora si appresta non solo a ricoprire, ma a riformulare con tutta l’intera burocrazia celeste dell’UE.
Economia di guerra non può non voler dire più Stato nell’economia, più dirigismo, più coordinazione tra Stati e ministeri prima ancora che tra le forze armate nazionali. In fondo il debito pandemico con il NGEU e l’imposizione via atlantica del superamento del 2% annuo di spesa militare nei bilanci nazionali hanno già prefigurato l’UE che ci attende in futuro. Un ircocervo diverso dal passato, perché dilacerato dall’impossibilità di far la guerra senza mutare la politica fiscale abbandonando l’ordoliberismo e l’austerità. A meno che non si vada verso un futuro di crescente degradazione del livello di vita delle popolazioni europee con il declassamento di status e di reddito del corpaccione del consenso all’UE: ossia le classi medie dei singoli Stati europei.
I prodromi di una crisi da tradimento delle aspettative ci sono tuttavia tutte: i trattori rimbombano, i cittadini scandinavi reclamano misure forti contro la delinquenza generata dai migranti in massa accolti ma non integrati, i francesi non perdonano a Macron la distruzione dello Stato più tecnocratico al mondo, mentre gli spagnoli vedono crescere ogni giorno l’insofferenza centralista per i ricatti parlamentari degli indipendentisti.
E non parliamo poi delle politiche UE di cui la von der Leyen è stata la madrina (superata solo dallo scomparso Timmermans): la transizione verde che i popoli sempre più trovano insopportabile per il profilo classista che la caratterizza, senza parlare poi della violenta retorica post-umanesimo che ha il volto digitale delle piattaforme del capitalismo di controllo che le persone semplici trovano spaventevoli e poco rassicuranti.
Insomma, tutto è pronto per rieleggere la von der Leyen, ma con i voti un tempo ritenuti calamitosi e poco chic dei conservatori, ossia delle destre lepeniste, teutoniche e spagnole che si ritenevano un tempo non autorizzate (ma da chi?) a varcare la soglia delle salette e delle lounge della burocrazia celeste. Orbán non solo non sarà un problema, ma non lo sarà più perché completamente ininfluente in futuro.
I profeti del transumanesimo e della lotta contro la povera gente non solo con i vecchi metodi della lotta di classe dei vecchi ricchi contro i poveri di sempre, ma con i nuovi metodi e strumenti – transizione ecologica con i fili elettrici e tecnologia labour saving glorificate e magnificate – della lotta di classe di sempre, prenderanno il potere politico nell’U£.
Sarà la più imponente sostituzione di una burocrazia celeste mai avvenuta sinora sotto il cielo non di mezzo, ma del centro del mondo: l’Europa intrappolata nell’UE. Un compito arduo per Le Pen, Meloni e compagnia. Sarà un esperimento a cielo aperto di trasfigurazione istituzionale.
Buona fortuna.
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