L’Europa sta lentamente trasformandosi perché si sta lentamente trasformando il concerto di quelle potenze che in essa interagiscono e si dispongono nella storia mondiale. La ragione di ciò è assai simile a quello che successe per effetto dei risultati della Guerra dei sette anni, dal 1756 al 1763: ossia in quel plesso di tempo in cui, con la conquista inglese dell’America del Nord contro la Francia, quella terra sconfinata iniziava a decidere le sorti del mondo e quindi dell’Europa, grazie al dominio dei mari e alla sua crescita economica.



L’impero non territoriale del Regno Unito sembrò per un paio di secoli impedire quel destino. Ma dopo la Seconda guerra mondiale e gli accordi di Yalta quel declino fu inevitabile, perché a uscire vincitrice da quella terribile guerra fu l’Unione Sovietica. Essa occupava il cuore dell’Europa Orientale (una divisione continentale che fu proprio la Guerra dei sette anni a sancire per sempre), dalla Polonia al Baltico e a Praga, sino all’Adriatico. E ciò nonostante il formidabile ruolo degli Usa, che dovevano, proprio grazie al loro dominio dei mari, occuparsi, però, dell’Asia ben più di quanto fecero dell’Europa per contrastare l’espansionismo sovietico: un espansionismo inscritto nel ruolo storico euroasiatico, un ruolo secolare della Russia, sovietica o no.



E così l’Europa ricadde e ricade nell’agone del conflitto franco-tedesco, per la soluzione funzionalistica e non costituzionale che si diede alla centralizzazione capitalistica del secondo dopoguerra, sino a oggi. Si delineava, così, un nuovo destino europeo di potenza di terra e non di mare che non poteva che condurre l’Europa a un ruolo subalterno su scala mondiale.

Ma a questo declino la Francia non si è mai rassegnata. Tanto meno oggi, quando incombe la perdita di influenza in Africa e in ciò che rimane dell’impero transcontinentale (basta pensare alla tragedia della Guadalupe o all’esclusione evitata di misura, in extremis, dal ruolo di potenza indo-pacifica a cui voleva destinarla l’improvvida, catastrofica politica estera degli Usa, si tratti di Biden o di Trump).



È in questo contesto che andranno lette tutte le mosse di Macron che si insedia alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea in questi giorni. Non è un caso che la prima iniziativa che si è annunciata, e che vedrà tutto il dispiegarsi diplomatico e di potenza di quello che è ancora il più raffinato e complesso dispositivo diplomatico e di intelligence del mondo, è quella del 17 e 18 febbraio 2022 a Bruxelles, il “Sommet des dirigeants de l’Unione Européenne et de l’Union Africaine”. Solo dopo di essa si svolgerà, in Francia ma in una località ancora da definire, il 10 e l’11 marzo la riunione dei ventisette capi di stato e di governo europei sul “nouveau modéle europeén de croissance et d’investissement”, iniziativa di fatto di già annunciata dal trattato franco-italiano e dal documento redatto dagli “economisti di corte” che ne è seguito.

Tutto si si tiene. Macron ha assunto un ruolo divisivo fortissimo in patria, con un attacco inconsueto contro i “no vax”. È giustificata la severità contro chi non si vaccina mettendo a repentaglio le vite degli altri oltre che la sua, ma è errato il tono retorico solo punitivo, che denota uno stato di febbrile nervosismo che percorre tanto il “gruppo di mischia” del presidente quanto i suoi avversari di una destra divisa. Così facendo si rincorre sempre più la pandemia, anziché affrontarla tanto con severità quanto con capacità politica e culturale di convincimento e di creazione di quel consenso che è necessario proprio per vincerla. Essa si vince, infatti, solo con la crescente e diffusa volontà di lavorare per il bene comune e non solo con la repressione.

Così la salita alla presidenza europea di Macron bene rappresenta il difficile percorso che ha dinanzi a sé l’Ue: convincere che occorre trasformare per intero sia la politica estera che la politica economica degli Stati europei. La Francia guarda al Mediterraneo e a un nuovo ruolo non solo “di terra” dell’Europa e dell’Ue. Senza un partenariato con l’Africa e il Grande Medio Oriente è l’Europa tutta intera a essere destinata alla decadenza, tra la pressione russa e quella turca e cinese: tutte sfociano nel plesso mediteranno e nordafricano. La Francia può e deve percorre questa strategia se vuole continuare a essere ancora quella potenza tanto di terra quanto di mare che ha caratterizzato da sempre la storia europea e ha determinato ciò che rimane all’Europa di un ruolo mondiale. Bisogna riconoscere che esso si fonda sulla superiorità culturale e strategica della Francia, rispetto a tutti gli altri Stati europei.

Guai se al nervosismo reso manifesto dinanzi al Covid si unisse una caduta di prestigio diplomatico e intellettuale proprio ora che le sorti dell’Ue sono decise in primo luogo dalla capacità di innovare profondamente politica ed economia. Se così non fosse, anche per l’Italia sarebbe una sconfitta gravida di conseguenze. Tutto ritornerebbe com’era prima della pandemia e quindi il declino europeo sarebbe inevitabile.

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