Da Baires a Berlino, si potrebbe dir, facendo il verso al libro di Giovanni Arrighi – bellissimo ma infondato teoricamente – Adam Smith a Pechino, dove si preconizzava ciò che non è avvenuto: ossia la fuoriuscita dalla crisi di egemonia mondiale che, dal 1989, attraversiamo, con la sostituzione della dominazione unipolarista nordamericana con la potenza cinese. Ma ciò che accade in Cina oggi è una crisi di egemonia della fazione dominante del Pcc, come disvelano le sparizioni dei ministri (degli Esteri, perbacco!) e di ricchissimi magnati dell’high-tech e dignitari di corte a tutti i livelli.
Non dissimile dalla crisi della dominazione di Pechino – se ci si dimenticano le differenze tra democrazie europee parlamentari cadute in una crisi entropica e crisi di una dominazione terroristica di massa in versione cinese – è quella a cui si assiste nell’Ue, dove l’impossibilità di trovare una accordo tra le potenze nazionali aderenti ai Trattai europei esplode con un’effervescenza che non lascia presagire nulla di buono per la sorte dei popoli del Vecchio continente.
L’attacco che abbiamo udito nel Bundestag tedesco, per esempio, da parte del leader della Cdu Mertz nei confronti del cancelliere socialdemocratico Scholz è stato di una violenza verbale inaudita, simile a quella che si è udita nella Spagna di un Sánchez che per tenere assieme il suo governo deve sfidare la stessa Costituzione nata dalla fine del franchismo e da una transición pactada che ha avuto dell’incredibile e del virtuoso grazie a una classe politica anti-franchista e post-franchista che si è purtroppo dileguata come neve al sole.
E non possiamo, poi, non rammaricarci che la Douce France sia caduta nelle mani di un Macron che la sta consegnando a una poltiglia politica informe di post-gollismo, lepenismo di secondo grado e un anarco-sindacalismo che non ha più nessun rapporto con il radicalismo repubblicano giacobino.
Mi viene alla mente la meditazione di Rousseau sulla Polonia allorché il conte Wielhorski gli chiese di scriverne una Costituzione che fosse in grado di frenare la lotta fratricida tra l’aristocrazia: “È difficile capire come uno Stato così stranamente costituito possa essere esistito per così tanto tempo, (uno Stato) che non può opporre resistenza a chiunque voglia spezzarlo, che si dissolve cinque o sei volte al secolo (…) e nonostante tutto questo vive e si mantiene in vigore”. La stessa cosa diremo tra alcuni anni dell’Ue? L’importante sarà che non lo si dica anche dell’Europa come unione spirituale grazie alle sue radici giudaico-cristiane.
La discussione, tuttavia, che si sta dipanando con violenze verbali e attacchi frontali tra élites incapaci di trovare accordi e mediazioni non fa presagire nulla di buono. Il Mes è consustanziale non tanto al Patto di stabilità, quanto al progetto di costituzione dell’unione bancaria, che come l’Araba Fenice continua a dileguarsi nel cielo della lotta tra nazioni e l’incapacità della burocrazia tecnocratico-partitico-nazionalistica dell’Ue di portare le diverse nazioni a un punto di unità che eviti l’approfondirsi dell’entropia. E l’incapacità – resasi manifesta il 14 dicembre scorso – di trovare un accordo sulla destinazione dei fondi europei e sulla ripartizione delle risorse che derivano dalla mutualizzazione debitoria raggiunta solo per effetto della pandemia prima e poi della necessità di armarsi con la divisa della Nato per combattere la Russia imperialista che attacca l’Ucraina.
Un Santo Natale difficile, quello che si avvicina… e un nuovo anno che non fa presagire nulla di buono per l’umanità tutta.
La radice del male non è solo nell’assenza di un profilo costituzionale della storia dell’Ue, ma soprattutto nella politica di finanziamenti a pioggia che hanno sostituto e sostituiscono la mancanza di una direzione economica comune: a una moneta comune non corrisponde una Banca centrale europea che banca centrale lo sia davvero – e non soltanto una più possente special purpose financial entity che non riesce a comprendere che a un’inflazione da carenza di offerta di materie prime e di assets energetici non si risponde con una politica monetarista, ma invece con un’offerta crescente di beni frutto di una politica economica coordinata e sovranazionale.
La politica dei bonus sostituisce la politica economica, con effetti che possono essere letali: lo si è visto nella martoriata Argentina, con la vittoria del peggior profeta dell’ordoliberismo, che così disvela il suo volto populistico e demagogico.
Per questo da Baires a Berlino, dove ci si arena sul fatto che i guardiani della Costituzione tedesca e dei conti pubblici disvelano politiche allegre di spostamento dei fondi del bilancio per alcune decine di miliardi di euro… Se fosse successo in Grecia avremmo udito alte grida di dileggio; Berlino è un’altra cosa. O forse lo era…
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