Macron è un presidente francese dimidiato, con una nazione spaccata per il conflitto sociale. Un conflitto che assume il profilo delle tipiche forme della mobilitazione collettiva solo apparentemente corporativa, ma in verità pluriclassista, ossia che unisce lavoro dipendente salariato e lavoro dipendente stipendiato (ceti operai e ceti medi declassati), da un lato, e, dall’altro, il popolo degli abissi e dei penultimi, ossia lumpenproletariat e lavoratori autonomi con giubbotti gialli pronti a tutto.
Macron, disgregando i partiti storici, non ha più maggioranze parlamentari possibili. Cerca la soluzione per sopravvivere nella politica estera e vira contro l’Italia stropicciando il Trattato franco-italiano proprio quando esso, invece, dovrebbe essere messo in atto per migliorare il Pnrr e unire l’Ue e l’Europa per meglio rispondere alla guerra imperialista russa contro l’Ucraina: guerra tra tre nazioni (una imperiale, però) che ormai dilaga in guerra contro l’Ue e contro tutte le sue nazioni. E un brivido corre lungo la schiena.
Scholz, dal canto suo, vede crollare il duopolio democratico-cristiano (o popolare che dir si voglia) e socialdemocratico che ha consentito alla Germania di dominare l’eurocrazia burotecnocratica senza rivali, cedendo le briciole del potere ai francesi e nulla più grazie all’alleanza storica con le statualità anseatiche, baltiche e scandinave. Anche Scholz cerca una soluzione al suo declassamento: suo e del suo partito nella politica estera, sia nel confronto con gli Usa, sia nell’alleanza con la Cina, che rende quel confronto con gli Usa sempre più pericoloso.
Entrambi gli Stati che Macron e Scholz rappresentano perdono, con l’allargarsi del confronto con la Russia – anzi, con il suo approfondirsi – quella capacità di mediazione che essi un tempo assumevano: la Francia grazie al nucleare; la Germania grazie al suo essere il punto archetipale di quello storico capitalismo tanto teutonico ordoliberista quanto e insieme statalistico-teutonico-russo-cinese. Quel capitalismo composito evocato dalla finanza americana con l’entrata della Cina nella Wto sin dal 2001 e che ora gli Usa, spaventati anch’essi, vogliono in parte contenere e in parte distruggere.
L’Italia è la vittima sacrificale prescelta per recuperare sul piano interno un esercizio di potenza escludente e non includente. La nazione non includibile in questo schema è l’Italia. L’esclusione si pensa possa recuperare consensi ai Macron liberali e agli Scholz socialdemocratici antifascisti e allontanare la fine del duopolio Ppe-liberali e Pse dato dall’avvento del duopolio popolare-conservatore (che non a caso ha come leader europeo Giorgia Meloni).
In definitiva è sconcertante rivedere apparire le forze vettoriali che posero le basi della Prima guerra mondiale e poi anche della Seconda. Erano forze vettoriali che subordinarono la politica estera alla politica interna e alla politica di partito. Capovolgendo una legge storico-generale che fonda invece la possibilità dell’equilibrio in Europa e nel mondo con la cooperazione tra Italia, Francia e Germania.
Ancora una volta in Europa, come diceva Bismarck, “l’angelo caduto”, vinca o perda è sempre triste. Lo è perché non fa che portare sciagure e nuove guerre. Sempre più pericolose.
Basterebbe cambiare le stelle che guidano le rotte: è la politica estera che guida se si vuol migliorare le nazioni e non viceversa; è la ricerca dell’equilibrio europeo che porta alla pace e non il contrario, destinando così al conflitto e non al lavoro diplomatico sano e realistico tutte le forze che si possono mettere in campo.
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