La ripresa economica è in atto in tutta Europa, anche se la variante Delta del virus potrebbe provocare nuove restrizioni e, quindi, nuove frenate. Le prospettive sono che entro la fine del prossimo anno i Pil dei maggiori Paesi europei e, soprattutto di quelli dell’unione monetaria nel suo complesso, saranno ai livelli pre-emergenza sanitaria. Ciò vuol dire ragionare sulle regole di funzionamento dell’unione monetaria e del mercato unico quando l’emergenza potrà dirsi superata.
Un negoziato vero e proprio tra gli Stati dell’Unione Europea non è ancora in atto, ma se ne stanno ponendo le basi. Alcuni mesi fa, un “gruppo di riflessione” all’interno della Commissione europea ha prodotto un documento preliminare oggi oggetto di discussione tra i rappresentanti degli Stati membri e i funzionari dell’Esecutivo comunitario. Questa testata ha riassunto i contenuti del documento preliminare quando è stato diramato. Poco si sa sulle posizioni dei vari Stati membri. La crisi sanitaria ha aumentato la diffidenza tra i vari Stati dell’Unione nonostante l’iniziativa solidaristica del Next Generation Eu e dei vari Piani di ripresa e resilienza stilati in un’ottica europea per dare a tale iniziativa corpo. Si può prevedere che quando il negoziato entrerà nel vivo, si riproporrà la diffidenza tra gli Stati cosiddetti “frugali” del Nord nei confronti di quelli del Sud considerati, a torto o a ragione, “spendaccioni”.
Inoltre, la crisi sanitaria ha messo in evidenza come anche a livello parlamentare ci siano marcate distinzioni. Il “manifesto” firmato all’inizio del mese da partiti di vari Paesi europei dimostra a tutto tondo ciò che si sapeva da anni: l’Ue non va verso una “unione sempre più stretta” di stampo federalista, ma verso una variegata “Europa delle Patrie”, per utilizzare il lessico di Charles De Gaulle, con geometrie variabili attorno a un nocciolo duro di politiche comuni. Di questo quadro politico si dovrà tenere conto quando si scriveranno le nuove regole.
Anche se sinora non è dato sapere quali saranno i lineamenti della posizione del Governo italiano nel negoziato, si possono delineare alcuni punti che stanno affiorando dai lavori sul tema di centri studi e di gruppi di lavoro, nonché del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro che è, sotto il profilo costituzionale, il consulente istituzionale del Governo.
A fini espositivi, è utile distinguere tra regole per il mercato unico che riguardano tutti i 27 Paesi dell’Ue e quelle dell’unione monetaria che pertengono ai 19 Stati dell’euro, in particolari quelli (come l’Italia) che sono entrati poco più di vent’anni fa per il rotto della cuffia e che sono contrassegnati da alti disavanzi e soprattutto da un altissimo debito pubblico.
Per il mercato unico, l’obiettivo deve essere quello di tornare, prima o poi, alle regole precedenti la crisi, regole improntate a concorrenza, trasparenza e a minimizzazione dell’intervento pubblico. Negli ultimi due anni, però, l’intervento dello Stato nell’economia è cresciuto moltissimo, anche con l’ingresso nel capitale di imprese grandi e piccole. È difficile che si possa tornare indietro in un lasso di tempo relativamente breve. È auspicabile, invece, che l’Ue costruisca regole per incoraggiare il cambiamento della natura e degli obiettivi dell’intervento pubblico nelle imprese. Fare sì che, per mutuare il titolo di un libro scaturito da una bella ricerca di Astrid (Lo Stato promotore. Come cambia l’intervento pubblico nell’economia, a cura di Franco Bassasini, Giulio Napolitano, Luisa Torchia, Il Mulino 2021), si affinino strumenti per valutare come e in che misura l’intervento dello Stato nelle imprese le indirizzi verso obiettivi europei come la transizione ambientale e la transizione digitale. E possa, quindi, essere giustificato per un periodo più o meno lungo.
Più complessa le definizione di nuove regole per l’unione monetaria. È poco plausibile tornare a quelle del Trattato di Maastricht e soprattutto del Patto di stabilità e crescita, costruite, in modo grossolano, sulle medie aritmetiche di deficit e debito prevalenti nel 1990. È anche illusorio pensare a qualche forma di “sanatoria” per il debito della Pubblica amministrazione (di Stati come l’Italia), come spiega molto bene Paolo Guerrieri nel recente saggio Partita a tre: dove va l’economia del mondo (Il Mulino 2021). Comunque, quali che saranno le regole formali, le sanzioni dei mercati si faranno sentire: se gli Stati più indebitati non cresceranno a tassi maggiori di quelli degli interessi sul debito, dando la prospettiva di una riduzione del peso di quest’ultimo sull’economia, si giungerà, prima o poi, a qualche forma di commissariamento delle loro politiche economiche (già ora, se si leggono bene i documenti, il Pnrr risponde a 528 condizioni poste dalla Commissione europea).
Tra le proposte emerse nelle audizioni al Cnel, molto interessanti quelle di Pietro Tommasino della Banca d’Italia. In breve, limiti alla discrezionalità delle politiche di bilancio sono necessari, nell’interesse in primo luogo dei cittadini di ciascun Paese. A maggior ragione sono necessarie regole sopranazionali in un’unione monetaria in cui le politiche di bilancio rimangono responsabilità dei singoli membri, ma le loro conseguenze ricadono sull’area nel suo complesso. Le regole da sole, tuttavia, non bastano a garantire politiche adeguate in un contesto macroeconomico instabile e di economie fortemente interconnesse. Anche il sistema meglio disegnato dovrà riconoscere un sufficiente margine di discrezionalità a chi dovrà garantirne l’applicazione.
Un’unione monetaria non può basarsi solo su vincoli alle scelte di politica di bilancio dei singoli Paesi (siano essi decisi da regole o da istituzioni a questo preposte). Serve una capacità di bilancio comune per ricostituire a livello centrale quei gradi di libertà che vengono sottratti a livello decentrato. Un approccio integrato alla riforma dell’architettura economica europea risulterebbe non solo più efficiente dal punto di vista strettamente economico, ma avrebbe anche più possibilità di superare gli ostacoli di natura politica.
Un approccio integrato implica non solo il completamento dell’unione bancaria e il varo dell’unione dei mercati di capitali, ma anche una maggiore capacità di bilancio comune. Quanti dei 19 Paesi dell’euro sono pronti a mettersi su questa strada?
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