La Germania comincia a prepararsi alle elezioni del prossimo 23 febbraio. A quanto pare sarebbe questa la data su cui Spd, Verdi e Cdu avrebbe trovato un accordo per il voto anticipato che seguirà al dibattito parlamentare sulla fiducia al Governo Scholz del prossimo mese il cui esito appare ormai scontato dopo l’uscita di Fdp dalla maggioranza. Meno scontato è, come ricorda Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, «capire chi potrà governare il Paese. Certo è che la situazione economica tedesca resta difficile e non ci sono al momento reali segnali di svolta rispetto a un rallentamento che sta proseguendo da troppo tempo. C’è, tuttavia, un elemento potenzialmente positivo da non dimenticare».
Quale?
Il fatto che il rapporto debito/Pil tedesco continua a essere relativamente contenuto. La Germania ha, quindi, lo spazio fiscale per approntare una politica economica più attenta ai problemi centrali che hanno portato il Paese nella situazione in cui si trova: una domanda internazionale per i suoi prodotti, le auto in particolare, nettamente in calo; un aumento dei costi energetici a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina; un mercato immobiliare in cui i prezzi sono sostanzialmente raddoppiati negli ultimi dieci anni.
Si dice che con il ritorno di Trump alla Casa Bianca la guerra in Ucraina potrebbe cessare in breve tempo, ma il suo annunciato protezionismo penalizzerebbe le produzioni europee…
Sì, per questo per l’Europa diventa cruciale il mercato interno e la sua domanda, che va sollecitata, anche per quel che riguarda gli investimenti: non solo privati, ma anche pubblici ovviamente. Pensiamo solo a cosa si potrebbe fare sul fronte della mobilità vista la situazione dei collegamenti tra Italia e Francia che permane critica. È poi importante che non si guardi solamente ai mercati di oggi, ma anche a quelli potenziali di domani. Le scelte della Germania restano in ogni caso cruciali per tutta l’Europa.
In che senso?
Nel senso che avrebbe l’opportunità di tirare la corsa anche per gli altri Paesi europei. Potrebbe essere anche l’occasione per realizzare un’Europa genuinamente più unita.
In che modo?
Potrebbe, per esempio, esserci un coordinamento consapevole e concordato delle politiche economiche almeno dei quattro principali Paesi membri dell’Ue: Germania, Francia, Italia e Spagna. In particolare, sul fronte energetico e ambientale.
Il coordinamento oggi viene forse visto come prioritario sul fronte della difesa…
È un tema importante, ma, come ho avuto modo di evidenziare in una precedente intervista, è bene capire cosa si intenda per difesa. Privilegiare l’industria bellica rispetto ad altre non sarebbe un bene per l’Europa.
Nel contesto attuale, con il ritorno di Trump e le difficoltà dell’economia europea, se non cambiano le regole del Patto di stabilità non resta, quindi, che sperare nella Germania?
Esattamente, è l’unico dei Paesi europei poc’anzi citati che ha tante risorse pubbliche da poter spendere.
Vorrebbe, però, dire che la Germania dovrebbe farsi carico del resto d’Europa e non pensare solo a se stessa.
In realtà, anche solo pensando a risolvere i suoi problemi, utilizzando l’ampio spazio fiscale che ha a disposizione, genererebbe inevitabilmente delle esternalità positive per il resto d’Europa. Se l’economia della Germania riuscisse a ripartire, anche gli altri Paesi dell’Ue ne trarrebbero beneficio: pensiamo solo alle interconnessioni tra le imprese del nord Italia e quelle tedesche. Si genererebbe, quindi, un circolo virtuoso. L’importante è riuscire a “sfondare” la resistenza tedesca ad aumentare il debito. Ma credo convenga alla stessa Germania per evitare un “rischio Weimar”.
(Lorenzo Torrisi)
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