Una giornata di ordinaria amministrazione sul fronte ucraino. Il Pentagono informa che i russi avrebbero usato armi chimiche vietate, il Cremlino nega ma tutti i titoli riportano l’indiscrezione americana (senza che vengano fornite fonti certe e documentate), ma è ovvio l’impatto psicologico della notizia.

Intanto i russi avanzano e il presidente francese Macron ribadisce che se le cose andranno avanti così è ora di pensare di mandare truppe NATO o addirittura specificatamente europee direttamente al fronte per contenerne l’offensiva.



In Italia il Governo si è già detto comunque contrario, ma è Mattarella ad insistere sulla “difesa comune europea”. Chi gli scrive i discorsi dovrebbe però far spiegare al Presidente anche chi ne avrebbe poi il controllo e il comando effettivo, quali sarebbero i Paesi contribuenti e soprattutto attraverso quali fornitori si procederebbe a potenziarne l’armamento comune, perché – una volta di più – c’est l’argent qui fait la guerre e i francesi sono attentissimi a questo aspetto.



La loro potente industria degli armamenti ovviamente “tifa” perché la guerra prosegua, così come i loro colleghi oltre Atlantico, che la scorsa settimana sono stati rifocillati con oltre 100 miliardi di dollari dei quali oltre 60 per il fronte ucraino. Di questi però 23 rimarranno negli USA per riapprovvigionare i magazzini, 13 andranno a sostenere direttamente le forze armate ucraine, 12 saranno destinati per “operazioni militari in Europa”, 7,85 miliardi andranno in “prestito” a Kiev per sostenerne il bilancio, non si sa con quali controlli.

Pochi hanno notato che mentre il Congresso americano stava ancora votando, i missili Patriot erano già stati forniti a Kiev nei giorni precedenti. Il Patriot è un missile a medio raggio PAC-3 lungo più di cinque metri, pesa quasi una tonnellata con un motore a razzo che imprime al missile una velocità mach 5,1 (6.500 km/ora). Costa da uno a 3 milioni di euro al colpo, a seconda delle versioni. Con i Patriots andranno a Kiev anche missili Atacms e dai Paesi NATO missili Samp/T, droni e vario materiale. Tutti vettori con una gittata che può ampiamente superare i confini russi.



Se qualcuno volesse riflettere a quanto costi una guerra moderna immagini cosa si potrebbe realizzare in aiuti umanitari solo con il costo di uno e un solo missile di quelli lanciati quotidianamente, e comprenderà come stiamo veramente correndo fuori carreggiata.

Ma insistere su questo tema, sottolineare – come si sgola invano papa Francesco – la necessità di avviare comunque delle trattative di pace, valutare l’opzione di non dare solo spazio alle armi non interessa all’informazione fornita “dall’alto” e nessuno sembra rendersi conto della sottile pressione psicologica che viene esercitata ogni giorno sulla gente.

Scelta legittima, ma che però non va allora presentata come “neutrale” semplicemente perché non lo è. Eppure, nonostante il martellamento da più di due anni di queste news, la maggioranza degli europei (e soprattutto degli italiani) è contro le forniture militari a Kiev, ma sembra che nessuno ne tenga in minimo conto.

Visto poi che la guerra costa (l’ossessione sui costi è quotidiana, il fattore umano secondario) per finanziare in parte la nuova fornitura l’idea è quella di liquidare i beni e i fondi russi congelati in Occidente. Poi però ci si stupisce e si protesta se Mosca “nazionalizza” alcune ditte italiane.

Mentre il numero dei morti di entrambe le parti è sconosciuto, passando per numeri palesemente inverosimili (o almeno così si spera, visto che si parla di centinaia di migliaia di vittime), una guerra contro un aggressore, la Russia, si è trasformata in un grande affare mondiale (come tutte le guerre), ma dove si nasconde all’opinione pubblica un aspetto fondamentale, ovvero che continuarla ad oltranza non è una scelta conveniente salvo – appunto – per chi fornisce armamenti.

Zelensky è sempre più debole, anche perché gli è venuto meno parte dell’appoggio interno, gli ucraini dell’ovest odiano quelli dell’est (altro aspetto taciuto dai media) mentre l’Europa continua a risentirne economicamente in modo pesante.

Si sostiene che comunque Putin non accetterebbe mai una tregua, ma finché nessuno gliela propone non si può averne conferma, anche se un cessate il fuoco era più facile (e conveniente) quando Zelensky era ben più forte di ora. Modesta proposta: e se l’Occidente in cambio di una tregua offrisse di sospendere le forniture? Allora, forse, uno stop converrebbe anche al Cremlino.

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI