Solo il futuro ci dirà se l’appoggio della Meloni a Ursula von der Leyen in cambio della beatificazione di Fitto si rivelerà una buona mossa o una svendita politica per un piatto di lenticchie.

Sicuramente il voto di parte del gruppo conservatore (Ecr) ha inaugurato una Commissione europea politicamente “a geometria variabile” visto che contemporaneamente (e proprio per questo) sta già perdendo pezzi a sinistra rispetto al debutto di luglio ma che forse – proprio per la sua struttura elastica – potrà meglio resistere nel tempo.



Certamente la “nomination” di Fitto a una vice-presidenza esecutiva e il voto dell’aula lasciano sul terreno divisioni profonde e una scia di scontenti soprattutto a sinistra, dove in molti hanno mal digerito l’apertura ai conservatori. Tra l’altro è stato un voto palese, spia di quello che succederà nel momento in cui verranno in votazione provvedimenti non graditi a questa o quella parte dello schieramento



Se la Meloni può sostenere di essere entrata ad ogni effetto nel “salotto buono” europeo e porta a casa per l’Italia un posto di prestigio, dentro e fuori la sua maggioranza romana non si sciolgono i dubbi sul posizionamento della premier, che a questo punto rischia di doversi rimangiare – in parte lo ha già fatto – molte delle sue posizioni critiche su Bruxelles.

Più d’uno farà presente alla Meloni che il programma elettorale di Fratelli d’Italia a giugno insisteva proprio sui “distinguo” rispetto all’alleanza di sinistra-centro europea, mentre all’interno stesso del gruppo conservatore (che ha già perso diversi pezzi a vantaggio dei Patrioti) si storce il naso per  la scelta di ieri.



A meno che tutto non si debba inquadrare in una manovra più complessa, ovvero quella di portare – intanto – a casa il risultato di Fitto, e poi manovrare proprio per far salire la tensione nella maggioranza di Bruxelles, in attesa di farsi corteggiare non solo come occasionale “ruota di scorta” ma rendendosi progressivamente indispensabile per prendere il posto di quei socialisti che già ieri hanno apertamente scelto di non votare la Commissione. Vedremo come reagiranno i deputati europei della Meloni quando verranno al pettine per esempio i vari dossier “green”, oppure le proposte di Draghi, che da Roma non erano state viste con grande entusiasmo.

Mani libere, d’accordo, ma ci vuole anche un po’ di coerenza, perché se la realpolitik impone flessibilità, alla fine la destra italiana – se la si considera interpretata soprattutto dalla leader – non può perdere quelle caratteristiche ed idealità per le quali ha sempre detto di impegnarsi.

È vero che gli italiani si sono sempre interessati poco delle politiche europee, ma già nel giugno scorso è apparso evidente come questa volta ci sia stata maggiore attenzione e critica nei confronti della von der Leyen per tanti provvedimenti non condivisi dall’elettorato di centrodestra.

Se pur la Meloni “tiene” a livello dei sondaggi e così Fratelli d’Italia, molti segni indicano come alla sua destra si stia progressivamente organizzando un pulviscolo di gruppi e movimenti che sono alla ricerca di un punto di riferimento “alla Vannacci”. Il rischio per la premier è di ritrovarsi così sempre più in difficoltà a giocare contemporaneamente la sua posizione di leader moderata con le volontà più o meno sotterranee di un elettorato che si ritrova ad essere progressivamente più a destra di lei.

In questo senso la partita europea può diventare importante, coinvolgendo fatalmente la politica estera, i rapporti con Trump, l’avvio di armi in Ucraina e più in generale i rapporti internazionali di un’Italia che tramite la Meloni punta ad essere una possibile, futura interlocutrice privilegiata con Washington.

La partita-Fitto potrebbe così diventare un piccolo spartiacque, ma questo – appunto – lo scopriremo solo in futuro.

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