Riconversione verde dell’economia (“Il 37% delle risorse del Next generation Eu andrà al Green deal. Il 30% del Recovery fund sarà reperito sul mercato con green bond”), superamento degli accordi di Dublino in tema di immigrazione (“Sarà sostituito da un nuovo sistema di governance delle migrazioni, con un meccanismo di solidarietà molto forte ed incisivo”), un summit sulla sanità nel 2021 (tra l’altro, in Italia) “per dimostrare che l’Europa c’è per proteggere i cittadini”. Su questi capisaldi Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue, ha incentrato il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione al Parlamento europeo, ribadendo un punto di partenza che è anche un percorso: “Il Covid deve essere occasione per cambiare”. Basteranno questi strumenti per ridare vitalità all’Ue e all’Italia? E che effetti avranno gli investimenti verdi e la transizione sostenibile sul nostro modello economico e produttivo? “Dal Green deal alla digitalizzazione – osserva Ugo Bertone, uno tra i più affermati giornalisti economici italiani – l’agenda della von der Leyen ha il pregio dell’autonomia, è un elemento distintivo che permette all’Europa di confrontarsi con Cina e mondo anglosassone”.
Ursula von der Leyen ha rispolverato un suo cavallo di battaglia: il Green deal. Alla riconversione verde i paesi Ue dovranno destinare ben il 37% delle risorse del Recovery fund. Cifra esagerata?
No, è una cifra ambiziosa ma credibile. Diciamo che è la cifra dell’Europa: o riesce in questa operazione oppure francamente viene meno tutta la spinta verso l’unione europea. Il Green Deal è ciò che distingue l’Europa dagli altri continenti. Riaffermarlo nei giorni in cui brucia la California e in Cina poco sappiamo di quel che sta avvenendo sotto il profilo ambientale è un primo, importante, segno distintivo. È uno sforzo di orientamento degli investimenti.
La ricetta degli investimenti verdi gira da anni, ben prima del Covid. È riproponibile anche oggi dopo le cicatrici lasciate dall’emergenza sanitaria ed economica?
È più urgente che mai in questo frangente. Si tratta di mettere a fattore comune diverse sfide che aiutano a imboccare la giusta direzione verso il futuro.
Quali sfide?
Ne cito tre. Primo: dotare tutto il continente di punti di carico per l’auto elettrica. Secondo: sviluppare l’energia da idrogeno, la vera carta dell’indipendenza energetica europea. Germania e Francia ci hanno già messo del loro, ma anche l’Italia è nel plotone di testa. Qui la vera scommessa ambiziosa dell’Europa sarebbe quella di far da traino, coinvolgendo in questa partita l’Africa. Terzo: favorire la riqualificazione energetica degli edifici. Ma oltre al green non va dimenticata la digitalizzazione del continente, l’altro cavallo di battaglia della von der Leyen.
Il 37% per l’Italia significa investire in green un’ottantina di miliardi. Il governo saprà investirli bene? C’è il rischio di disperderli in progetti faraonici ma inutili oppure in mille piccoli interventi scoordinati tra loro?
I rischi sono sempre dietro l’angolo. Però, come citavo nel caso dell’idrogeno, esistono progetti da seguire e sarebbe criminale sprecarli. Noi non siamo solo quelli che hanno fatto cose sbagliate. Se ritroviamo un certo spirito, come nella fase iniziale del Piano Marshall, potremmo anche essere molto virtuosi.
Le linee guida del Piano nazionale di riforma e resilienza annunciato da Conte e Gualtieri vanno in questa direzione?
Va registrato uno sforzo relativamente nuovo e relativamente onesto. L’Italia finora ha presentato progetti che brillavano sulla carta, ma velleitari nell’esecuzione. Ora si vede un tentativo per far valere i quattrini per quel che sono. Soprattutto se consideriamo il deficit che abbiamo accumulato e che ci costringerà a una gestione di financial repression. Parliamo di un percorso obbligato, stretto, la direzione è segnata. E se lo capiamo tutti, si apre una stagione come quella degli anni 50, in cui l’opposizione ebbe un ruolo importante e produttivo. Va ritrovato quello spirito.
La rivoluzione verde si adatta al tessuto economico e produttivo italiano? Non si corre il pericolo di imbrigliarlo, copiando modelli altrui, magari inapplicabili?
Deve adattarsi, non possiamo farne a meno, giunti a questo punto. Parliamo di verde pensando sempre all’inquinamento, e su questo l’Italia ha bisogno di una forte spinta, ma il fattore decisivo è saper modificare a fondo tutti i paradigmi e la visione dello sviluppo, economico e sociale. La rivoluzione verde è necessaria, anche dal punto di vista della riqualificazione delle risorse umane e del rilancio dell’occupazione.
Vale anche per industrie pesanti come l’Ilva? Non costa troppo?
È decisiva, non se ne può fare a meno, anche se sono progetti lunghi e costosi. Così fosse, finalmente si esce dalla fumosità di questi anni, tornando a pensare al futuro vero.
Il Green deal può rappresentare per l’Europa di oggi quel che sono stati i grandi progetti come Euratom, Ceca o Pac?
Lo spirito non può che essere questo.
Impostazione e risorse del Recovery fund bastano per uscire dalla crisi portata dalla pandemia e per “spianare la strada – come ha detto la von der Leyen – verso una nuova vitalità”?
Il Recovery fund è un punto d’inizio per un nuovo circolo virtuoso dello sviluppo. Può aiutare a riavviare la crescita a tassi di sviluppo non più anemici come quelli degli ultimi anni. Questo significa destinare le risorse, che non sono molte, in maniera produttiva. Solo così potremo evitare che i paesi ricchi lascino gli altri al loro destino.
La presidente della Commissione ha annunciato un summit sulla sanità che si terrà nel 2021 in Italia. Un aiuto politico a un premier, Conte, oggi in difficoltà oppure è il riconoscimento di ciò che ha fatto di buono l’Italia nella lotta al Covid?
Più la seconda della prima. A Bruxelles, dove sono troppo abituati a considerare l’Italia un rebus complicato e strano, interessa che il nostro paese, una volta trovato un filo di collaborazione in una direzione precisa, non perda tempo.
Superare Dublino. Ursula von der Leyen riuscirà là dove hanno fallito i suoi predecessori nell’impresa di convincere i 27 a essere più solidali e accoglienti?
Vorrei sottolineare un passaggio secondo me importante della von der Leyen, quando dice, rivolta agli Stati: non fatevi ricattare da Russia e Turchia. Sono parole che un tempo non sarebbero state usate, avrebbero prevalso i toni diplomatici. Così come mi ha colpito la risposta alla Gran Bretagna sulla Brexit: abituati a vedere una Ue presa a schiaffi, è una novità importante.
Perché?
Il discorso, coraggioso e orgoglioso, della von der Leyen testimonia che sta nascendo un certo spirito d’Europa, e questo è positivo.
(Marco Biscella)