Il sistema elettorale inglese per l’elezione di un nuovo leader di partito, in questo caso il successore di Boris Johnson alla guida del partito conservatore, assomiglia un torneo di calcio, lo sport tanto amato dagli inglesi. Dopo la prima fase eliminatoria in cui si erano presentati otto candidati, siamo adesso alla fase finale, il duello tra i due candidati che hanno superato il primo turno, l’ex cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak e la ministra degli Esteri Liz Truss. A inizio settembre, tramite il voto di tutti gli iscritti al partito, verrà determinato il vincitore e quindi nuovo leader dei tory.
Ma, ci spiega in questa intervista Claudio Martinelli, professore di diritto pubblico comparato e diritto parlamentare all’Università di Milano-Bicocca ed esperto del sistema giuridico britannico “attenzione a non farsi abbagliare dai media su uno scontro feroce tra i due su temi come la Cina, l’immigrazione e l’economia. Nessuno dei due, come nessun altro all’interno del partito conservatore, si discosta dalla visione di Boris Johnson, di cui rappresentano invece la continuità”.
I due candidati alla leadership del Partito conservatore britannico si stanno dando battaglia in una serie di dibattiti televisivi che andranno avanti anche ad agosto. Quali le principali differenze tra i due?
Personalmente sono restio a descrivere questo ballottaggio in termini di differenze politiche tra i due candidati. In realtà Sunak e la Truss, come tutti gli otto candidati iniziali che hanno preso parte al Tory Contest, non presentano una discontinuità rispetto alla visione di Boris Johnson né sulla Brexit né su tutto il resto. Liz Truss, in quanto ministro degli Esteri, è ovvio possa avere qualche sensibilità in più soprattutto dal punto di vista del realismo politico.
Ad esempio?
La capacità di trattare con le grandi potenze internazionali, anche quelle che possono avere ragioni di conflitto con il Regno Unito, escludendo la Russia che in questo momento per ovvi motivi è un capitolo a parte. Nel caso della Cina, trattarla in modo tale da trovare il più possibile degli accordi. Chi come Sunak non è stato ministro degli Esteri è chiaro possa avere un altro tipo di sensibilità. Però attenzione a non farsi prendere dalle illusioni ottiche.
Cioè?
Come detto, questa non è una battaglia su una visione politica piuttosto che un’altra, questa è la generazione dei johnsoniani che sta contando se stessa e sta decidendo la propria leadership. È una battaglia di tipo personale, che non vuol dire sminuire questo duello, ma che dentro il partito conservatore ci sono sensibilità diverse portate avanti da personalità diverse le quali tutte mirano a sostituire Johnson.
Significa che chiunque vinca il partito conservatore resterà quello che ha delineato Boris Johnson?
Questo è abbastanza sicuro, almeno fino alle prossime elezioni nazionali. Nel 2019 la vittoria dei tory rappresentò un risultato talmente univoco che senza ripassare dal corpo elettorale, dentro al partito non c’è nessuno che voglia una discontinuità tale da mettere in discussione quel risultato.
Chiaro. Ma il partito laburista come si sta muovendo invece?
Gioca quel ruolo inevitabile che gioca il partito di opposizione quando il partito maggioritario sta decidendo la propria leadership.
Mi sono espresso male, intendevo alle prossime elezioni avrà delle chance? Sta costruendo una nuova identità?
Assolutamente sì. Ha già cominciato a costruirla quando ha eletto Keir Starmer segretario del partito. Quello sì è stato un momento di discontinuità dentro al labour, peccato che in Italia non ne abbia parlato nessuno perché tutti concentrati sulla figura di Johnson e ancora oggi non se ne parla. I laburisti stanno cercando di costruire una piattaforma molto più credibile di quella che aveva messo su Jeremy Corbyn, un partito cioè in grado di erodere al centro l’elettorato che negli ultimi anni ha sempre votato per i tory.
In questo partito laburista c’è ancora spazio per i contrari alla Brexit o è un discorso chiuso?
La vicenda Brexit in quanto tale è chiusa. Si è chiusa con l’accordo di buon vicinato tra Regno Unito ed Europa stipulato da Johnson nel 2019 e poi firmato la vigilia di Natale del 2020. Altro discorso è come gestire le conseguenze: sia chi vincerà il Tory Contest, sia chi farà l’opposizione, sia chi vincerà le prossime elezioni nazionali dovrà fare i conti con le conseguenze della Brexit. Basti pensare alle questioni Scozia, dove il desiderio di indipendenza non è mai sopito, e Irlanda del Nord, che vuole restare in Europa.
(Paolo Vites)
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