In un sistema bipartitico, come quello delle elezioni presidenziali americane, è importante per il vincitore tendere la mano agli elettori del proprio avversario attraverso il richiamo all’unità. È quanto ha fatto Joe Biden nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, così come aveva fatto nel suo Donald Trump, sia pure con accenti più “popolari” e meno retorici. L’impressione è, tuttavia, che l’invito alla unità di Biden fosse rivolto anche a quella parte non irrilevante del suo partito, che più che sostenerlo, lo sopporta. Molti degli ordini esecutivi che ha emanato già dal primo giorno di insediamento sono diretti ad annullare provvedimenti di Trump e vanno in una direzione, diciamo così, progressista.
Uno di questi è la cancellazione degli ordini esecutivi di Trump che impedivano la permanenza nelle forze armate di persone transgender, ma ancor più rilevante è l’annullamento della cosiddetta Mexico City Policy. Questa norma, del 1984, risale alla presidenza Reagan e da allora è stata di volta in volta revocata dai presidenti democratici e ripristinata da quelli repubblicani. La norma vieta l’assegnazione di fondi pubblici a organizzazioni che non si impegnino a non praticare o promuovere pratiche abortive. Abolita da Obama, era stata ripresa e ampliata da Trump all’inizio del suo mandato nel 2017.
Si ripropone qui il problema di un presidente cattolico che agisce in favore del diritto di aborto, un fatto che ha già provocato forti critiche dell’episcopato americano. Per converso, la decisione di Biden è stata accolta con favore da Planned Parenthood, la potente organizzazione abortista che lo aveva sostenuto durante la campagna elettorale.
Gli ordini esecutivi di Biden provocheranno discussioni anche in un altro settore non proprio unificante: l’ambientalismo. È improbabile che vi siano reazioni particolari alla decisione di rientrare nell’Accordo di Parigi, già parte del suo programma elettorale. Più problematico si presenta invece l’annullamento del progetto Keystone XL, l’oleodotto che porterebbe a raddoppiare le importazioni di petrolio dalla provincia canadese di Alberta e che è da anni contestato da ambientalisti e nativi americani. Nel 2015 era stato fermato da Obama e poi sbloccato da Trump nel 2017. La decisione di Biden è coerente con le sue promesse di particolare attenzione all’ambiente, tanto più che vi sono ragioni oggettive per criticare il progetto. Tuttavia, la mossa non è stata presa bene dal governo federale canadese e da quello dell’Alberta, per la cui economia il petrolio estratto dalle sabbie è molto importante. Infatti, stanno minacciando azioni legali contro gli Stati Uniti per il risarcimento degli investimenti fatti finora.
Un altro capitolo importante è quello riguardante l’immigrazione, con l’eliminazione di diverse disposizioni di Trump, a partire da quella che prevedeva nei prossimi censimenti la rilevazione dello stato di cittadinanza, così da dividere i dati tra cittadini, immigrati legali e immigrati illegali. In tal modo, anche i non cittadini faranno parte della base su cui verrà attribuito il peso ai distretti elettorali.
La visione di Biden sull’immigrazione è decisamente più aperta e, se si vuole, più umanitaria di quella di Trump e dimostra l’intenzione di andare alle origini del problema. Condivisibili, in questa prospettiva, la ricerca di accordi con i Paesi dell’America Centrale e la promessa di un aiuto diretto nei Paesi da cui proviene l’immigrazione. In questo senso vanno anche le direttive che facilitano l’ingresso dei richiedenti asilo, con la cancellazione dei precedenti provvedimenti ostativi e la revisione delle procedure sull’espulsione forzata degli immigrati illegali. Altrettanto importante ciò che riguarda la divisione delle famiglie, di cui viene invece facilitato il ricongiungimento. Inoltre, viene prospettata una serie di misure per semplificare e rendere più rapida l’acquisizione della cittadinanza.
Nei suoi ordini esecutivi, Biden prevede anche l’annullamento dei fondi destinati da Trump al muro da costruire alla frontiera con il Messico. Occorre però ricordare che sotto l’amministrazione Obama sono stati costruiti più di 200mila chilometri di sbarramenti sul confine messicano, mentre Trump si è limitato, suo malgrado, a costruirne circa 130mila, per di più in sostituzione di sbarramenti già esistenti.
Forse Biden dovrà riconsiderare a fondo non solo le politiche dell’avversario Trump, ma anche del suo presidente Obama, e non solo sulle politiche migratorie.
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