Si è trovato a gestire due situazioni delicate come quella della guerra in Ucraina e del conflitto tra Israele e Hamas. Ma ciò che lo ha fatto scendere nei sondaggi sono soprattutto i temi economici. Se a questo aggiungiamo l’età e un partito democratico non così granitico nel sostenerlo, si capisce perché tornino a circolare le voci di un avvicendamento di Biden come prossimo candidato alle elezioni presidenziali Usa 2024. Il presidente ha ribadito che se non ci fosse stato Trump probabilmente non si sarebbe fatto avanti, ma, come spiega Rita Lofano, direttore responsabile dell’AGI, la sua dichiarazione è sembrata per certi versi un invito ai repubblicani a togliere di mezzo Trump in cambio, appunto, di una sua rinuncia.
Ma l’ex presidente viaggia con il vento in poppa e ormai forse solo i problemi giudiziari potrebbero fermarlo: soprattutto l’inchiesta per il voto in Georgia. È un’indagine statale e non federale, per questo se ci fosse una condanna non potrebbe cancellarsela autograziandosi una volta presidente.
Biden, comunque, arranca e la possibilità di una sua sostituzione come candidato presidente rimane. Nel frattempo deve fare i conti con i repubblicani, che per concedere nuovi aiuti a Israele e Ucraina, riuniti in un unico pacchetto, chiedono restrizioni sull’immigrazione dal Messico, argomento sul quale almeno una parte dei democratici non vuole fare concessioni.
Biden ribadisce che se non ci fosse stato Trump forse non si sarebbe candidato. Comincia a sentire il peso dei sondaggi ormai ampiamente sfavorevoli?
Chiaramente anche Biden legge i sondaggi: è molto preoccupato. Nell’ultimo sondaggio della CNN è sceso dal 45 al 37%. La sua dichiarazione, però, potrebbe essere anche un test per i repubblicani. Come a dire: “Io faccio un passo indietro ma voi non candidate Trump”. Un’operazione ardita, considerando soprattutto l’immenso vantaggio che Trump ha non solo su Biden, ma anche sugli altri candidati del suo partito come Haley e DeSantis.
Con loro, tra l’altro, non si degna neanche di presentarsi ai dibattiti tra i candidati repubblicani. Si sente ormai così superiore?
È una strategia che sta portando i suoi frutti. Pur avendo diversi procedimenti in quattro giurisdizioni, cause pendenti, anche un possibile ricorso al 14esimo emendamento della Costituzione americana, secondo il quale non può correre per cariche pubbliche chi è stato protagonista di insurrezioni, Trump non perde un colpo. Questi procedimenti pesano su di lui: per il 99% sono federali e il motivo della sua ricandidatura sarebbe di rimandarli più a lungo possibile, arrivare alla presidenza e autograziarsi. La Procura della Georgia, tuttavia, vorrebbe metterlo in carcere per il tentativo di sovvertire le elezioni. E questo è un caso statale, non federale, nel quale, a differenza degli altri, non potrebbe graziare se stesso. È una delle variabili di cui tenere conto, anche se al momento non c’è storia: Trump è in netto vantaggio.
La sua influenza si sente anche nel Congresso?
I falchi trumpiani stanno tenendo in ostaggio il Congresso con la richiesta di inserire negli aiuti misure più stringenti riguardo l’immigrazione dal Messico. Una posizione strumentale.
Subordinano la concessione di fondi per Ucraina e Israele a nuove norme sull’immigrazione?
Certo, alla riforma sull’immigrazione e a fondi per la sicurezza alla frontiera. Lo stesso Biden sembrerebbe pronto a mediare con McConnell, il leader di minoranza del Senato, repubblicano, per trovare un accordo onnicomprensivo. Questo la dice lunga sul peso di Trump, che non partecipa ai dibattiti eppure detta l’agenda: il tema dell’immigrazione è stato quello che lo ha portato alla vittoria nel 2016.
Ogni tanto torna in circolo la voce che Biden venga messo da parte per un candidato più giovane. L’età, le sue condizioni di salute, quell’instabilità che lo porta spesso a perdere l’equilibrio e ora anche la perdita di consensi possono spingere i democratici a sostituirlo?
Potrebbe fare un passo indietro. David Axelrod, ex stratega di Obama, gli ha chiesto di farlo. E già nel 2020 Obama aveva sconsigliato Biden di correre. Con una differenza: allora c’era la variabile del Covid e la gente aveva paura di quello. Ora la situazione è completamente diversa. A oggi comunque penso che l’unica cosa che possa fermare la corsa di Trump siano i procedimenti giudiziari. Biden con le sue dichiarazioni sta solo tastando il terreno, anche perché per ottenere gli aiuti all’Ucraina, a Israele e quelli da usare nell’Indo-Pacifico, dovrebbe andare contro i democratici più liberal, di sinistra, che non vogliono una stretta sull’immigrazione. Al Senato per la prima volta Bernie Sanders ha votato con i repubblicani. Anche il partito democratico è spaccato. È così in relazione alla posizione su Israele: lo stesso Sanders ritiene l’amministrazione americana troppo schiacciata sulle posizioni di Tel Aviv.
Dunque Biden sta pagando anche la linea tenuta su Ucraina e Israele?
L’America è saldamente dalla parte di Israele, anche se non ci dobbiamo dimenticare di tutte le manifestazioni nelle università: è comunque un tema divisivo nell’opinione pubblica. Il tema che conta alla fine, tuttavia, è quello dell’economia. Biden sta cercando di far capire che con la sua amministrazione da questo punto di vista sono stati raggiunti dei risultati, c’è stata una crescita forte, l’occupazione sta volando. Ma poi quando la gente non riesce a pagare le rate perché gli interessi sono alti, questo messaggio non passa. E infatti Trump accusa Biden di mancanza di leadership e di aver alimentato l’inflazione. Non credo che sia il suo stare con l’Ucraina o con Israele a creare problemi all’attuale presidente, quanto la sua linea politica complessiva. Mentre la fronda trumpiana è fortissima: quando l’ex presidente della Camera dei rappresentanti McCarthy si è dimesso, al suo posto è arrivato un trumpiano.
Sono solo i temi economici a mettere in difficoltà l’attuale presidente?
Quelli e la sua età, che ha un peso, anche se poi tutte le campagne elettorali Usa sono state decise dall’economia. La situazione è molto complessa: bisogna tenere conto anche di come sono percepiti i due candidati. Se si chiede a un americano qual è il programma di Biden non sa cosa rispondere. Quello di Trump è perfetto: legge e ordine, no agli immigrati, liberalismo e America first. Biden è più sofisticato, però non riesce a vendere il suo messaggio, anche se l’economia è solida. Se poi ci mettiamo dei democratici di spicco che lo invitano a un passo indietro, i sondaggi bassissimi, una vicepresidente, Kamala Harris, che è come se non esistesse, non si può che concludere che la congiuntura sia contro Biden.
Ma alla fine ci troveremo loro due, Trump e Biden, di fronte nelle presidenziali?
Se guardiamo le cose come stanno adesso direi di sì, anche se ultimamente sono diventate più frequenti, e non casuali, certe aperture rispetto alla possibilità di un passo indietro di Biden. Ha detto anche: “Ce ne sarebbero anche altri in grado di battere Trump”. Addirittura sarebbero una cinquantina. Io, onestamente, questi 50 non li vedo nel partito democratico. I candidati, insomma, alla fine dovrebbero essere loro due, ma ci sono ancora delle variabili che potrebbero cambiare la situazione: per Trump una di esse è l’indagine in Georgia.
Come influirà questa situazione sulla linea degli Stati Uniti in Ucraina come in Israele?
Quella in Ucraina per gli americani è una guerra lontana, che interessa relativamente. Per questo Biden ha fatto presente che quella russa non è una minaccia all’Ucraina ma alla Nato. Trump, invece, ha sempre detto che se ci fosse stato lui il conflitto non sarebbe scoppiato. Per quanto riguarda il Medio Oriente le cose sono un po’ più complicate.
Ovvero?
Biden è andato in Israele, in un paese in guerra, circostanza molto rara, e sta chiedendo di limitare le perdite civili a Gaza e di fornire aiuti. Il paradosso è che Trump, che era uno storico alleato di Netanyahu, lo ha duramente criticato. In Israele c’è un tema di leadership politica: ora no, ma Netanyahu, se anche lo stesso Trump lo ha scaricato, pagherà un prezzo politico.
(Paolo Rossetti)
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