Le vendite al dettaglio in America a luglio sono salite dell’1% rispetto al mese precedente battendo le attese che prevedevano una crescita di appena lo 0,4%. Dopo la pubblicazione del dato sono saliti i rendimenti delle obbligazioni governative e i principali indici azionari americani hanno accelerato al rialzo. Sono cambiate anche le attese sui tagli dei tassi della Federal Reserve che non includono più la certezza di quattro tagli dei tassi entro la fine dell’anno. Il ciclo di espansione dell’economia americana ancora una volta sorprende gli investitori per durata e dimensione.
La reazione delle borse di ieri dimostra che non vale l’assunto che “cattive notizie” siano “buone notizie” nella misura in cui il rallentamento dell’economia e del mercato del lavoro avvicina l’inizio del taglio dei tassi. Nelle ultime settimane, invece, si sono accumulate prove dell’esatto opposto. Più l’economia tiene e più si posticipa il ciclo di espansione monetaria, più salgono i mercati. Questa equazione, per quanto intuitiva, non è stata la regola negli ultimi anni. In molte circostanze, specialmente dal 2008, si è avuto un fenomeno opposto; il rallentamento dell’economia portava in dote tassi più bassi e questi, a loro volta, sostenevano il valore degli asset finanziari.
La politica fiscale di Washington è una delle cause principali, se non la causa principale, della performance economica americana. Nel 2023, con l’economia americana in piena ripresa, il deficit pubblico americano è stato il più alto dalla Seconda guerra mondiale con l’esclusione di due fasi: il fallimento di Lehman Brothers che ha scosso le fondamenta dei mercati finanziari globali e i lockdown da Covid che hanno quasi completamente paralizzato l’attività economica per mesi. È tutta l’impalcatura finanziaria americana a essere minacciata da questa politica fiscale. Se il deficit che viene prodotto in un anno di crescita economica è il più alto della storia, escluse recessioni gravi e guerre, diventa inevitabile farsi domande sulla tenuta delle finanze americane o, almeno, sulla convenienza dei bond governativi; se il punto di partenza di una prossima recessione, se e quando ci sarà, è questo livello di deficit, allora bisogna prendere in considerazione la possibilità di un’altra fase di alta inflazione. Queste riflessioni sono decisive quando, per esempio, si comprano obbligazioni governative a lunga scadenza.
Se l’economia cresce e rimane solida si può coltivare la speranza di un processo di consolidamento fiscale che riporti il deficit americano dentro binari sostenibili. Se invece, anche con questi deficit l’economia rallenta o addirittura entra in recessione, allora a essere messo in discussione è il mercato finanziario americano in quanto tale e la sua forza di attrazione per i risparmi globali. Se c’è una scelta di investimento che sicuramente non ha pagato nella primavera del 2020, nel pieno della pandemia Covid, questa è stata l’acquisto di obbligazioni governative. In quei mesi non solo non c’era alcun incremento dei prezzi, ma il timore, semmai, era la deflazione. Allo stesso modo, in questi giorni, l’inflazione rallenta e la frenata dei prezzi potrebbe confermarsi per i prossimi trimestri. Questo orizzonte però non è quello di chi compra un’obbligazione a dieci anni e, inevitabilmente, si chiede cosa accadrà tra uno o due anni.
Un rallentamento dell’economia americana, dati questi livelli di deficit, solleverebbe questioni che eccedono le decisioni di investimento dei prossimi trimestri.
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