Martedì 2 novembre si sono svolte le elezioni in alcuni stati americani con risultati che offrono spunti molto interessanti per capire le complesse dinamiche politiche, ma anche sociali, di quel paese.
In New Jersey, piccolo ma molto popoloso stato (9 milioni di abitanti) a sud di New York, Philip Murphy, governatore uscente e democratico, ha battuto lo sfidante repubblicano Jack Ciattarelli di circa 40mila voti dopo essere stato per tutta la notte indietro nei risultati che arrivavano man mano. Questo risultato ha secondo tutti gli analisti qualcosa di incredibile: il presidente Biden vinse in New Jersey con oltre 16 punti di vantaggio e i sondaggi elettorali davano il candidato dem avanti di oltre 6 punti. Ottimi risultati per il candidato repubblicano vengono non solo dalle zone rurali, ma anche dalla contea di Atlantic City e dalle contee confinanti con lo stato di New York.
In Virginia, stato nel Sudest degli Usa con circa 8,5 milioni di abitanti, ha vinto contro tutte le aspettative la sfida per la carica di governatore l’imprenditore repubblicano Glenn Youngkin, che ha battuto il democratico Terry McAuliffe, politico navigato e già governatore dal 2013 al 2017. La campagna elettorale fatta dal candidato repubblicano, in uno stato dove Biden vinse un anno fa con oltre 10 punti di vantaggio, è stata in grado di riportare al voto una fetta importante di elettori conservatori, ma anche di indipendenti moderati, che un anno fa avevano sostenuto Biden e che sono stati rassicurati da un ricco imprenditore che si è concentrato su tematiche locali e sulla necessità di un buon governo dello stato.
Viceversa, la campagna del candidato dem, volta a dipingere Youngkin come un estremista e un sostenitore dell’ex presidente Trump, ha avuto poco successo, e pur mobilitando buona parte dell’elettorato democratico non ha convinto gli indecisi e gli elettori indipendenti.
Tema particolarmente caldo della campagna repubblicana è stato l’educazione, con una forte critica alla chiusura delle scuole durante la pandemia promossa dai governatori democratici, con la promessa di salari più alti ai docenti ma anche di controlli più severi sugli insegnanti impreparati e con l’assicurazione di maggiore libertà per le famiglie (di Youngkin lo slogan “parents matter in education”) nella scelta della scuola e in particolare di scuole non statali.
Altro tema caldo è stato l’aperto contrasto alla Critical Race Theory, la dottrina promossa da molti esponenti della sinistra radicale, e diffusa da questi in scuole e università, secondo cui il razzismo è qualcosa di intrinseco nel sistema politico e legislativo, di permeante la cultura dominante e di connaturato alla popolazione, e che pertanto le minoranze abbiano diritto a trattamenti di favore a compensazione di questo. L’accusa mossa dai repubblicani, che hanno fatto eleggere alla carica di vicegovernatore la prima donna afroamericana, è che queste dottrine sono divisive e che creano un’errata colpevolizzazione dei giovani studenti bianchi per colpe commesse, o non commesse, dai nonni e bisnonni.
Questi risultati, e altri che arrivano in maniera sparsa da altre zone degli States, mostrano la strada per il partito repubblicano verso le elezioni di Midterm (il prossimo autunno ci sarà il rinnovo della camera Usa) e segnano la difficoltà in cui si sta trovando la presidenza Biden.
Quest’ultimo infatti è impelagato in una lunga battaglia in parlamento per il finanziamento delle proprie politiche industriali e ambientali. Lo scontro però non è contro l’opposizione repubblicana, ma tra i democratici progressisti e quelli moderati. Biden sconta il grave fallimento del ritiro dall’Afganistan e soffre la progressiva riduzione dell’influenza Usa nel Pacifico e nel Sudest asiatico a vantaggio del gigante cinese; deve poi difendersi dagli attacchi che arrivano dai repubblicani sul proprio stato di salute (ha fatto il giro del mondo il video che lo ritrae sonnecchiante durante la conferenza sul clima Cop26 a Glasgow).
I repubblicani viceversa, dati per morti dopo l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio, dimostrano di essere in grado di riprendere la guida del paese quando presentano candidati seri e moderati, chiari sulla propria base culturale conservatrice e con proposte concrete di riforme e innovazioni. Candidati in grado di riprendere a dialogare con le minoranze etniche, come avvenuto in Virginia con gli afroamericani, in Florida con gli esuli cubani e in Texas con i latino-americani, ma anche con quella parte di elettorato rurale bianco e scettico nei confronti dello stato centrale, che è stato riportato alle urne da Trump e che gli ha garantito inaspettate vittorie. Candidati in grado di vincere nelle periferie delle grandi città (come accaduto in New Jersey e Virginia) ma che non dimenticano l’America profonda. Così facendo i repubblicani possono essere motore di quella riunificazione sociale, prima ancora che politica di cui il paese necessita e prepararsi alla partita delle elezioni presidenziali di novembre 2024.
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