Che cosa sia veramente successo con l’elezione di Donald Trump rimarrà inspiegabile se non si guarda a ciò che è accaduto con le lenti dell’antropologia e della sociologia critica, piuttosto che con quelle della politologia o – tanto meno – dell’economia neo-classica oggi in voga.
La vittoria di Trump conferma le tesi di coloro che pensano che la condizione materiale di vita sia soltanto una delle fonti esperienziali tramite cui può formarsi la coscienza della propria collocazione nel tessuto sociale e la decisione di orientare il proprio voto in base a questo giudizio. Decisiva, nella formazione delle opinioni politiche, è soprattutto, e soprattutto oggi (nella società virtuale del controllo biopolitico), il ruolo svolto dall’immaginario collettivo. È il landscape collettivo che preme sulle folle, sulle masse e sugli individui. Ma non più nel vecchio termine à la Ortega y Gasset – ossia fondato sul potere carismatico esercitato da pochi organizzati, da un lato, e sulla solitudine della moltitudine solitaria, dall’altro. Oggi la società di massa è fondata sul controllo che sulle masse esercitano le élite del potere, certamente, ma è anche il luogo in cui si formano le contro-culture che rispondono – con i materiali grezzi dell’immaginario collettivo che trovano a disposizione – ai bisogni latenti o espressi spesso con la violenza e il travestimento simbolico: come nel caso delle ronde trumpiane. Si risponde così ai bisogni psichici profondi di quelle stesse masse, che troppo spesso si pensa siano dominate solo dalla volontà delle élite del potere senza limite alcuno.
Il caso di Trump è esemplare: esponente di una plutocrazia familistica allargata, con alleanze strategiche con il nuovo capitalismo finanziario-tecnologico-narcotico alla Musk, Trump non si limita a raccogliere i suoi voti, forte della disgregazione sociale determinata dal neo-liberalismo di massa che ha distrutto i legami sociali di ogni genere. Non si limita a ciò. Con l’invocazione di una violenza simbolica e minacciante insieme, richiama a sé, per rifondarli di nuovo (nell’immaginario soltanto, certamente) quei valori che affondavano le loro radici in una società industriale ormai scomparsa e trasformata dalla leva finanziaria in una società terziaria che trova nella solitudine e nell’anomia la sola forza spirituale che possa trascinare con sé il fiume dei comportamenti collettivi. A questa solitudine anomica, il verbo trumpiano, quanto più è grossolano e minacciato dall’establishment (processi, ecc.), tanto più appare come la sola risposta possibile… e di conseguenza affascina.
La divisione sociale si approfondisce e la vittoria di Trump ha, allora, il connotato fortissimo di quell’anticapitalismo di destra che sta attraversando il mondo come risposta all’iper-regolazione della vita sociale. Essa si è imposta a partire dall’ultima decade del Novecento con il capitalismo ordo-liberista che ha nel politically correct il linguaggio comportamentale regolamentato (dall’alfabeto alla scelta del sesso fuori dalla determinazione naturale per assumere una veste transumana e neo-divinizzante) imposto a tutta la società.
I protagonisti de La macchia umana di Philip Roth sono oggi i protagonisti ogni giorno viventi di quello che un tempo appariva solo come un incubo lontano dal trasformarsi in realtà.
Oggi tutto – dal transumano all’utero in affitto, alla vita eterna, alla possibilità di scegliere il proprio sesso grazie alla tecnologia – è possibile… basta volere, disporre di denaro, evocare gli dei salmodiando un vocabolario inventato secondo le regole del mondo nuovo che avanza. Chi non ha i mezzi materiali per isolarsi da questo mondo che incombe e che rifiuta la storia, la civilizzazione, l’umanesimo, non ha che una risorsa: votare le varie forme di trumpismo che crescono come funghi alla base delle vecchie querce che si abbattono a colpi di politcally correct.
Oggi l’incubo gira per le strade e fa strage del buon senso e della verità storiografica, prima che storica. A tutto questo, quella parte di cittadini negli Usa che ancora vota e che ancora trova normale il vivere secondo le regole di sempre, si è ribellata e, quale che sia la sua classe sociale, ha votato Donald Trump.
È un voto dettato sia dalla disperazione, sia dall’angoscia, sia dalla nascita ideologica di una nuova corrente oligarchica che esercita un potere di massa sull’orientamento collettivo di ogni strato sociale, ma in primo luogo su quello dei diseredati e dei perdenti dinanzi al progredire del capitalismo finanziarizzato iper-tecnologico.
Non poteva che andare così. Non è che l’inizio. Il prossimo choc sarà quello tedesco, quando si voterà… e allora si assisterà alla caduta di ogni sostegno psicologico di massa contro l’anomia che serpeggia tra la folla dei non ricchi, dei non garantiti, dei non abbienti. E il caso Macron si sta snocciolando sotto i nostro occhi…
Il nuovo neo-capitalismo di destra colpirà inesorabilmente. Le conseguenze economiche? Ma saranno quelle di sempre, quando il fenomeno dell’anticapitalismo di destra si manifesta: protezionismo, protezionismo non differenziato, non specializzato, non fondato sulle filiere d’impresa e quindi ragionevole, ma tumultuoso e confuso, tipico del prodromo delle crisi economiche mondiali.
Aggiungeteci la guerra e i diecimila nordcoreani combattenti in Europa e lo scenario è allestito… Con quel che ne consegue.
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