Cinque milioni. Cinque milioni è, a dati non ancora definitivi, la differenza tra il vincitore Donald Trump e la sconfitta Kamala Harris nel voto popolare. Sono circa 77 milioni di voti per il candidato repubblicano contro i 72 milioni di voti per la candidata dem. Se pensiamo che nel 2016 Hillary Clinton, nonostante la netta sconfitta nei collegi elettorali, vinse il voto popolare per circa tre milioni di voti, possiamo intuire la portata della sconfitta democratica.
Tutti gli Swing States, gli Stati dove si è giocata la campagna elettorale e dove i candidati hanno speso la maggior parte delle loro energie, sono stati vinti dall’ex e ora neo-presidente Trump con margini netti. Anche quelli ancora non ufficialmente assegnati dai media dovrebbero garantire a Trump margini di vittoria non inferiori al punto percentuale. Il conteggio ufficiale dei delegati dovrebbe essere di 312 contro 226, numeri che non si vedevano negli States dai tempi di Barack Obama.
I democratici non sono stati sconfitti solamente alle elezioni presidenziali: hanno in primo luogo perso il controllo del Senato, controllo che avevano da quattro anni, perdendo tre seggi che tenevano da parecchio tempo (West Virginia, Montana e Ohio) e non conquistandone, ad oggi, neanche uno. Il prossimo Senato sarà formato da 52 o 54 senatori repubblicani (alcune corse sono quasi appaiate e potrebbero volerci giorni per deciderle), spesso scelti direttamente dal tycoon e da lui appoggiati nel corso della campagna elettorale. Un Senato saldamente in mano ai repubblicani significa mano libera per il futuro presidente Trump in tutte le nomine, a partire da quelle delicatissime dei giudici della Corte Suprema, ma anche di quelli dei giudici federali e di molti organi amministrativi, che devono essere convalidate dal Senato a maggioranza assoluta.
Le elezioni di martedì riguardavano anche la Camera dei rappresentanti, che viene rinnovata ogni due anni e consta di 435 deputati, eletti tutti con un sistema a collegi uninominali: occorre raggiungere quota 218 seggi per avere la maggioranza. Ieri sera i repubblicani avevano ottenuto 210 seggi mentre i democratici 193. I democratici, che per riprendere il controllo della Camera avrebbero dovuto riconquistare 5 seggi, ad ora ne hanno persi 3. Potrebbero volerci giorni per arrivare alla definitiva composizione della Camera dei rappresentanti e indubbiamente la vittoria non sarà assegnata stanotte, ma i dati dicono che molto probabilmente anche la Camera sarà a maggioranza repubblicana. In questo caso Trump si troverà di fronte a due anni di grandi possibilità, sarà in grado di proporre leggi e di farle approvare senza scendere a patti con la minoranza dem, di chiedere ed ottenere finanziamenti per le iniziative del governo, di proporre e far approvare riforme legislative strutturali dando così un’impronta decisiva agli anni 20 di questo secolo americano.
Il presidente giurerà il 6 gennaio 2025 ed in quella data prenderà, o meglio, riprenderà, possesso della Casa Bianca. Nei prossimi due mesi verranno definiti i team di transizione, formati dai più importanti funzionari uscenti e dai futuri funzionari entranti, che lavoreranno al passaggio di consegne, in particolare sui dossier più delicati, riguardo ai quali il presidente in pectore riceverà informazioni dettagliate.
Trump ha annunciato modifiche rispetto alle ordinarie strutture del governo. La più importante dovrebbe essere l’istituzione di un Department Of Government Efficency, un ministero finalizzato a migliorare l’efficienza delle strutture governative, abbattendo la burocrazia, riducendo i costi e migliorando i processi. La guida di questo dipartimento dovrebbe essere affidata ad Elon Musk, che è da annoverare tra i grandi strateghi di questa vittoria repubblicana. L’imprenditore di origine sudafricana, attualmente uomo più ricco del mondo, ha supportato Trump non solo con lauti finanziamenti alla campagna elettorale, ma partecipando direttamente ad alcuni importanti comizi, con l’attivismo dimostrato sul social (di sua proprietà) X, e creando legami tra Trump e molti altri imprenditori e finanzieri, che, impauriti dalle posizioni della Harris, hanno preferito investire sul candidato repubblicano.
Musk è stato uno degli assi nella manica di Trump in queste elezioni, e si può scommettere che lo sarà anche nei prossimi mesi.
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